Tra i difetti dell'essere umano spicca il pensare che gli altri vedano esattamente le cose che vede lui, pensino esattamente le cose che pensa lui e sentano e percepiscano gli stimoli esattamente allo stesso modo che sente e percepisce lui.
È un modo di porsi più diffuso di quanto si pensi e ci piace ipotizzare che sia figlio del bisogno di sicurezza che ogni essere umano ha, o cerca, e che, quindi, lo porta a una sorta di pensiero omologato.
La dialettica, si sa, è foriera di insicurezza, quando non di sventura, poiché costringe chi vi presta attenzione a mettere in discussione, ogni volta, i punti che altrimenti sarebbero dati per acquisiti.
Eppure, l'esperienza ha dimostrato che non abbiamo tutti la stessa percezione e che l'oggettivazione della soggettività è una pratica di comodo per evitarci crisi esistenziali più frequenti. Ciononostante, il riferirsi a schemi omologati è ancora oggi la pratica di massa.
I passi sono lenti, ma non potrà esserci via d'uscita, se non lo stillicidio della lenta crescita collettiva, che polverizza generazione dopo generazione, per conseguire risultati socialmente e filosoficamente apprezzabili in tempi che i diretti interessati non saranno, invece, in grado di apprezzare.
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