Stavo appollaiato sulla biforcazione dell'ombra del platano, in equilibrio fra un cirro e un'ametista. La campagna era al verde, così come le mie tasche e quelle della maggior parte dei miei amici. Gli allevatori avevano venduto gli allevamenti e si erano riconvertiti in ex allevatori, con tutte le mandrie del bene e del male nei pascoli del cielo a conquistare quote letto per dormire sogni tranquilli.
Da quel punto di osservazione, il mondo sembrava meno acquatico, le paludi meno acquitrinose, i deserti più fioriti di rose purpuree e i mari lasciavano spazio ai monti e alle terre, in un fiorire di passiti e passati che prendevano forma su tele e bicchieri, fra un pennello e uno stuzzichino.
La fede era lontana, ma si scorgeva ogni tanto. Potevo osservarla non visto mentre intrecciava relazioni con la linea dell'orizzonte, per poi scomparire nel buco nero del mistero e riconcretizzarsi improvvisamente da un'altra parte, come se nulla fosse avvenuto. Un segnale poco comprensibile di come la Natura mi parlasse in una lingua che non era la mia, ma forse, nemmeno la sua.
Anche se ferito nel profondo del cuore dall'infrangersi dell'onda colpita da un ciottolo di fiume, sapevo che non tutto era perduto, anzi, sicuramente qualcosa era ritrovato, come il cucciolo di pastore che aveva fatto ritorno prima del sermone e si era accucciato sotto una balaustra boreale per non disturbare, vicino alla Carro dell'Orsa. Era un buon punto di ascolto, e lui ascoltò.
La parola fu detta, non si sa se fu capita, ma di certo fu detta. Fu ridetta più volte e, a un certo punto, fu anche scritta, impressa con forza nella memoria delle fibre di una cellulosa a microcellule monocellulari, prima di trasformarsi in immagine e sublimare il pensiero nella celluloide di un nastro sottile dotato di grande fotosensibilità e poco acume.
E pensare che avevo scelto la biforcazione dell'ombra del platano per avere le idee più chiare e un orizzonte più nitido, quanto meno aperto. Invece era tutto chiuso, strettamente serrato da cinghie di dubbi e credulità.
Ero condizionato dai condizionali che avevano costeggiato la mia vita e mi avevano tenuto compagnia nella coltivazione illegale del dubbio, di cui mi nutrivo nella colpa e nella vergogna.
Proprio così, il condizionale che mi aveva imposto scelte e, comunque le avessi fatte a malincuore, erano sempre state quelle sbagliate. Quel condizionale che nel corso della mia vita si era lentamente evoluto in imperfetto, fino a rinascere fra le ceneri di un mesto passato remoto, sempre meno nitido e, soprattutto troppo presente per non condizionarmi nuovamente.
La risacca cantava ossessivamente la sua canzone, come se volesse farmela imparare, ma non ero lì per ascoltare, dal mio punto di osservazione si osservava e il suono non ha forma visibile se non su tetragrammi e pentagrammi, con crome, biscrome, biscotti e pasticceria secca.
La realtà è meno repubblicana della menzogna ripetuta più volte nel faticoso tentativo di farla divenire reale, ma quando la vocazione è un'altra, bisogna seguire il proprio sentire e non sentire il sentire altrui, anche se i sentimenti, fuorvianti come sono, ci porterebbero da un'altra parte.
Quando il sole calò, l'ombra della biforcazione del platano prese lentamente, ma inesorabilmente, la stessa colorazione del buio circostante, le forme volsero a una sfumatura più scura del nero e fu tutto mimetizzato nella confusa e non percepibile notte.
Non servono punti d'osservazione quando si dorme.