L'ultima foglia era caduta, ma non c'era nessun albero e nessun autunno. Stavo preparando l'insalata e avevo spezzettato con cura e rigorosamente con le mani le foglie di lattuga, accuratamente lavate, prima di preparare la vinagrette per il condimento, lasciando che ogni singolo pezzetto cadesse nella ciotola di cristallo che avevo scelto.
Già, mi ero ridotto a fare l'insalata, perchè si era esaurita la vena sanguigna della carne e avevo dovuto accomodarmi su posizioni vegetariane, seppure con un certo sussiego, non privo di alterigia.
D'altronde, il colesterolo e i trigliceridi non mi avevano lasciato scampo e volevo evitare (almeno per il momento) la fine di Little Tony, un noto cantante italiano, ucciso dai fermenti lattici vivi del suo yogourt miracoloso preferito e da un cedimento strutturale delle fibre coronariche.
A causa di questo spauracchio, i cibi proteici avevano subito una drastica riduzione; gli acidi urici e la prospettiva dolorosa e demodé della gotta, mi aveva indotto a moderare l'ingestione di proteine più o meno nobili, a vantaggio di altri, meno aggressivi per le pareti del mio stomaco e per il lavoro frenetico del mio metabolismo.
Il mio senso cromatico ne era uscito a pezzi, esattamente come le foglie di quella malcapitata lattuga, ma non ci sarebbe stato alcun condimento consolatorio e la mia dedizione al colore sarebbe appassita miseramente, senza che il risultato del mescolamento dell'olio e dell'aceto balsamico potessero lenire il dolore tormentoso di una decadenzza senza fine.
Dall'altra parte del tavolo c'era il muro che separava la cucina dalla sala da pranzo, un muro che sembrava incrollabile, come la fede che mi aveva sostenuto nell'amaro passaggio al cibo vegetale. Un calice imbevibile era stato appoggiato alle mie labbra dissacrate e inclinato in modo che il contenuto liquoroso potesse scorrere fin dentro la bocca e poi inarrestabile fino alle viscere, lasciando un amaro alone indelebile nel ricordo delle mie malcapitate papille.
Erano quei momenti in cui la domanda topica sul senso della vita si svilisce nel significato, fino a ridursi a un'attestazione di indifferenza fra il respirare e il cessare definitivamente tale attività, per lasciare spazio all'armonia dell'universo
Avevo tolto gli specchi, non era possibile mantenere il decoro dell'essere umano di fronte ai continui ostacoli che la natura inventa per complicare la vita e ricordare ai mortali di avere un termine nel vuoto a perdere biodegradabile che costituisce la carcassa della loro anima.
Decisi che una mera insalata di lattuga non avrebbe avuto l'influsso consolatorio che andavo cercando, il rosso poteva essere ben rappresentato dai pomodori e dai ravanelli che, oltretutto, una volta tagliati avrebbero costituito una macchia di bianco rosato, che avrebbe arricchito la tavolozza vegetale.
A quel punto il giallo fu distribuito da peperoni e mais, mescolati accuratamente, in modo da dare una varietà in chiaroscuro al monocromatismo, reso lucido dal condimento, il bianco con riflessi verdastri dei cetrioli e il grigio bruno delle olive completavano il ventaglio di colori necessario a non farmi sentire già morto.
Il momento del condimento durò diversi minuti, come se mi aspettassi che i vari colori si fondessero, perdendo la peculiarità di ciascuno, per creare una nuova realtà, ma è ovvio che così non avvenne.
Apparecchiai e misi il frutto della mia fatica a tavola. Mi sedetti a mangiare e, boccone dopo boccone, la tristezza del vegetariano si impadroniva delle mie cellule nervose. Perchè avevo fatto quella scelta? Non volevo uccidere animali per nutrirmi, o avevo, piuttosto, una paura fottuta di veder finire i miei giorni per una definitiva ostruzione arteriosa?
Non avevo nei miei orizzonti la banalità delle posizioni animaliste di maniera, d'altronde che piacesse o meno, madre natura mi aveva dato in corredo quattro splendidi canini, che mi identificavano "anche" come carnivoro e mi aveva tolto ogni senso di colpa nel sopprimere un esemplare animale al fine di nutrirmi.
All'improvviso mi apparve del tutto evidente che la filosofia vegetariana era lontana da me anni luce e che per nessun motivo avrei potuto soggiacere senza dolore alle sue regole, ma, purtroppo per me non avevo voglia di andare a comprare della carne, avevo fame.
Abbandonai per un istante l'insalata multicolore, presi il pane pugliese dalla dispensa, le salsicce di lardo di Colonnata dal frigo e la forma di pecorino sardo dal ripostiglio. Con la tavola così imbandita, anche l'insalata assunse sembianze più simpatiche e di cntorno, cedendo (non so quanto volentieri) il ruolo di protagonista, per assumere quello più congeniale di comparsa.
La mia deriva vegetariana aveva concluso la sua parabola, lasciando di nuovo il passo a una concezione onnivora che mi soddisfece pienamente non appena addentai la fetta di formaggio che avevo appena tagliato.
D'altronde, il colesterolo e i trigliceridi non mi avevano lasciato scampo e volevo evitare (almeno per il momento) la fine di Little Tony, un noto cantante italiano, ucciso dai fermenti lattici vivi del suo yogourt miracoloso preferito e da un cedimento strutturale delle fibre coronariche.
A causa di questo spauracchio, i cibi proteici avevano subito una drastica riduzione; gli acidi urici e la prospettiva dolorosa e demodé della gotta, mi aveva indotto a moderare l'ingestione di proteine più o meno nobili, a vantaggio di altri, meno aggressivi per le pareti del mio stomaco e per il lavoro frenetico del mio metabolismo.
Il mio senso cromatico ne era uscito a pezzi, esattamente come le foglie di quella malcapitata lattuga, ma non ci sarebbe stato alcun condimento consolatorio e la mia dedizione al colore sarebbe appassita miseramente, senza che il risultato del mescolamento dell'olio e dell'aceto balsamico potessero lenire il dolore tormentoso di una decadenzza senza fine.
Dall'altra parte del tavolo c'era il muro che separava la cucina dalla sala da pranzo, un muro che sembrava incrollabile, come la fede che mi aveva sostenuto nell'amaro passaggio al cibo vegetale. Un calice imbevibile era stato appoggiato alle mie labbra dissacrate e inclinato in modo che il contenuto liquoroso potesse scorrere fin dentro la bocca e poi inarrestabile fino alle viscere, lasciando un amaro alone indelebile nel ricordo delle mie malcapitate papille.
Erano quei momenti in cui la domanda topica sul senso della vita si svilisce nel significato, fino a ridursi a un'attestazione di indifferenza fra il respirare e il cessare definitivamente tale attività, per lasciare spazio all'armonia dell'universo
Avevo tolto gli specchi, non era possibile mantenere il decoro dell'essere umano di fronte ai continui ostacoli che la natura inventa per complicare la vita e ricordare ai mortali di avere un termine nel vuoto a perdere biodegradabile che costituisce la carcassa della loro anima.
Decisi che una mera insalata di lattuga non avrebbe avuto l'influsso consolatorio che andavo cercando, il rosso poteva essere ben rappresentato dai pomodori e dai ravanelli che, oltretutto, una volta tagliati avrebbero costituito una macchia di bianco rosato, che avrebbe arricchito la tavolozza vegetale.
A quel punto il giallo fu distribuito da peperoni e mais, mescolati accuratamente, in modo da dare una varietà in chiaroscuro al monocromatismo, reso lucido dal condimento, il bianco con riflessi verdastri dei cetrioli e il grigio bruno delle olive completavano il ventaglio di colori necessario a non farmi sentire già morto.
Il momento del condimento durò diversi minuti, come se mi aspettassi che i vari colori si fondessero, perdendo la peculiarità di ciascuno, per creare una nuova realtà, ma è ovvio che così non avvenne.
Apparecchiai e misi il frutto della mia fatica a tavola. Mi sedetti a mangiare e, boccone dopo boccone, la tristezza del vegetariano si impadroniva delle mie cellule nervose. Perchè avevo fatto quella scelta? Non volevo uccidere animali per nutrirmi, o avevo, piuttosto, una paura fottuta di veder finire i miei giorni per una definitiva ostruzione arteriosa?
Non avevo nei miei orizzonti la banalità delle posizioni animaliste di maniera, d'altronde che piacesse o meno, madre natura mi aveva dato in corredo quattro splendidi canini, che mi identificavano "anche" come carnivoro e mi aveva tolto ogni senso di colpa nel sopprimere un esemplare animale al fine di nutrirmi.
All'improvviso mi apparve del tutto evidente che la filosofia vegetariana era lontana da me anni luce e che per nessun motivo avrei potuto soggiacere senza dolore alle sue regole, ma, purtroppo per me non avevo voglia di andare a comprare della carne, avevo fame.
Abbandonai per un istante l'insalata multicolore, presi il pane pugliese dalla dispensa, le salsicce di lardo di Colonnata dal frigo e la forma di pecorino sardo dal ripostiglio. Con la tavola così imbandita, anche l'insalata assunse sembianze più simpatiche e di cntorno, cedendo (non so quanto volentieri) il ruolo di protagonista, per assumere quello più congeniale di comparsa.
La mia deriva vegetariana aveva concluso la sua parabola, lasciando di nuovo il passo a una concezione onnivora che mi soddisfece pienamente non appena addentai la fetta di formaggio che avevo appena tagliato.
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