La concentrazione di archi in uno spazio ridotto a poche decine di metri, era la caratteristica di quel corridoio, tanto che tutti gli aspiranti artisti vi si recavano per mettere alla prova la loro capacità, nel rappresentarlo, di dare profondità a una prospettiva bidimensionale manichea.
La vera forza di quel corridoio stava nella sua capacità di illudere chiunque che la mano potesse in qualche modo riprodurre in maniera perfetta quello che gli occhi riuscivano a creare nel canovaccio della mente, il senso della tridimensionalità nella visione assumeva sembianze talmente credibili, quali quelle che solo l'immersione totale nella realtà può dare.
Mi trovavo là per gli stessi motivi per cui c'erano andati tutti gli altri, vedere da vicino quella realizzazione dell'Uomo, capace di trasformarsi in astrazione delle geometrie concrete, secondo dei criteri che erano ancora tutti da individuare.
Ero seduto in terra da quasi due ore e ancora la mano non era riuscita a sostituirsi agli occhi. Avevo gettato via almento una quarantina di fogli e impiegato una decina di matite diverse. Il risultato non mi aveva entusiasmato nemmeno un po'.
D'altronde, a differenza di tutti gli altri, il mio obiettivo non era quello di rappresentare la realtà, ma di riprodurla in modo tale che che le due opere, la realtà e la mia, fossero perfettamente sovrapponibili. Come se il creato fosse duplicabile e io fossi una sorta di clone di Dio.
Non riuscendo in risultati accettabili, dovetti uscire dal mio corpo e spostarmi di una decina di metri, per osservare i miei patetici tentativi da un'angolazione che, nella mia testa, aveva la particolarità di farmi vedere la scena con un ottimo margine di oggettività.
Nulla da fare, la visione, per quanto molto migliorata, non era all'altezza delle aspettative e in più c'era il problema che l'osservazione esterna di me, creava uno scompenso di considerazione fra quello che mi sentivo di essere e quello che vedevo con gli occhi dell'anima dall'altra angolazione. Uno scompenso forte, quasi destabilizzante, che, con un termine molto di moda oggigiorno, potremmo definire lo spread fra il soggettivo e l'oggettivo a tutto vantaggio della primo parametro sul secondo, con le inevitabili alterazioni speculative del mercato dell'autoconsiderazione.
Avrei potuto restare là, seduto per ore intere, a osservare il rincorrersi dei punti di fuga in contrapposizione alla mia staticità... ma non era quello che mi avrebbe mi avrebbe risolto la giornata e, forse, non era nemmeno quello che stavo cercando quel giorno grigio.
Stare fermo avrebbe solo aggiunto ombre, laddove c'era già poco sole... e, paradossalmente, mi sembrava una buona idea, tutto sommato.
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