martedì 29 ottobre 2013

Le briciole

Non poteva contentarsi delle briciole, sarebbe stato contrario al suo modo di essere.
Molti si sarebbero comportati diversamente, ma lui no, lui non si sarebbe piegato e avrebbe rifiutato le briciole che gli venivano offerte, sino al sacrificio estremo, che non tardò ad arrivare.
Non furono tanti gli eroi testimoni della propria coerenza, durante la grande carestia del 1570, la penuria di pane e le conseguenti briciole decimò in modo drastico tutta la popolazione.

Le ragioni della ragione

Era stato tutto il giorno nel bosco a cercare una ragione. Era tornato con cinque chili di funghi e una gerla di castagne.... qualche corbezzolo e alcune sorbe, niente altro che i frutti del bosco, perfettamente intonati alla stagione.
Era tornato a casa, che il buio aveva già occupato il cielo e buona parte della terra, faceva molto freddo, e allora aveva deciso di disegnare un camino acceso sulla parete nord della cucina, così, giusto per riscaldarsi. In principio gli era sembrata un'idea stupida, ma poi si era detto perchè no? e aveva finito il suo disegno con un bel fuoco, che solo per miracolo non gli aveva bruciato i pennelli imbevuti di colore e trementina.
Si era seduto per cenare, con poca voglia..... d'altronde avrebbe dovuto prendere in considerazione di cucinare qualcosa per poterla, poi, mangiare. Quel giorno aveva deciso che non avrebbe cucinato, né mangiato. Sembrava incredibile come una giornata, che qualsiasi altro compaesano avrebbe trovato strepitosa, lo gettasse nello sconforto più profondo.
Altri giorni quelli in cui avrebbe affrontato la cosa pulendo i funghi per poterli cucinare con dell'ottimo riso o della polenta e avere così una sontuosa cena, da accompagnare con del vino rosso, di quello buono.
Quella sera era andata diversamente e aveva avuto la malasorte di trovare tutto, all'infuori di quello che cercava. Evidentemente nel bosco non c'erano ragioni, per lo meno non quelle che cercava lui.
Il problema che si poneva adesso era ben serio: restare e continuare a cercare nei boschi limitrofi o mollare tutto e tornarsene in città, a continuare quella vita demenziale in cui la ragione ha un impatto tanto marginale da sembrare quasi inesistente.
Lì per lì, gli sembro che la soluzione migliore fosse tornare al caos cittadino, mica poteva mangiare solo funghi, castagne e roba simile.... poi si soffermò sul pensiero dominato esi rese conto con rammarico che non aveva una risposta pronta. In compenso aveva della pancetta affumicata nella dispensa. 
Decise che era la sera buona per cercare anche senza trovare e, infatti, non trovò......ma dovette prendere atto che non fu una buona scelta, il suo equilibrio interiore non aveva retto e si era trovato costretto in un letto di contenzione di un vicino casolare abbandonato.... senza farsene una ragione.
Come sempre succede in questi casi, di lui restò solo un fascicolo striminzito negli archivi della polizia locale, di tutto il resto, nulla restò e la ragione fu ritrovata in un cassetto dello scrittoio del nonno, lui si che aveva sempre ragione.



domenica 27 ottobre 2013

Il nulla opposto

Ormai venivano turisti e curiosi da tutto il mondo.
Il ponte sospeso nel vuoto era diventato elemento di attrazione e di crescita della piccola industria turistica che alimentava le popolazioni delle due sponde mancate.
Un ponte gettato fra due nulla, che non collegava le rive opposte, ma stava lì, sospeso nel vuoto, a testimoniare l'incapacità di dialogo delle due avverse comunità.
Un miracolo dell'ingegneria dell'incomunicabilità, che aveva preso il sopravvento da qualche anno, sul normale buon senso.
Mi avevano chiesto se avessi voluto salire sul ponte, per una visita e qualche foto da pubblicare.... declinai con cortesia, le incomprensioni non mi appassionano, tanto meno l'incapacità di dirimerle. 
Dopo due ore, il monumento alla stupidità era solo un ricordo sbiadito.
 

Comprendere e approvare.

Arrivarono i giorni in cui cercava approvazione, la comprensione non gli bastava più.
Il fatto è che non la trovava...... e questo stava diventando un macigno sulla sua coscienza.
Poteva anche essere che tutta la sua vita fosse stata basata su presupposti incondivisibili dai più e che, quindi, dovesse rivedere le sue posizioni, o soccombere sotto la mancanza di approvazione a cui tanto anelava.
Sono brutti momenti, quelli in cui siamo noi a richiedere  il giudizio altrui, invece della solidarietà intellettuale, come si è sempre fatto, l'essere umano ha momenti di debolezza in cui la solitudine diventa una compagna di viaggio meno gradita.
Gli altri giudicano comunque, anche nei momenti in cui non siamo in grado di alzare le spalle.

Libertà

Seguivo il filo del pensiero e aggomitolavo diligentemente quello del percorso lasciato alle spalle. Avevo già numerose matasse nei cassetti della memoria, ma non avevo ancora deciso come utilizzarle. La cosa che mi avrebbe divertito di più sarebbe stata una di quelle coperte patchwork, che tanto andavano di moda nel periodo in cui il mio assetato cervellino vuoto ha incontrato il flower power.
Strano incontro, ero convinto che gli schemi che conoscevo fossero gli unici esistenti, e scoprire che non era così aveva turbato i mei sogni giovani....
Avevo dormito in riva a uno dei tanti laghetti che arredavano il parco, ed ero stato svegliato da lei. Si era infilata nel mio sacco a pelo, chiedendomi se fossi stato io a suonare le campane la notte precedente.... non avevo idea se fosse un'allusione, una cretinata o cosa, ma sembrava che cercasse veramente il misterioso suonatore di campane, quindi, fra le altre cose, le risposi che non ero io, almeno così credevo.
Una volta appurato che non ero io il campanaro notturno, sparì e non ci siamo più incontrati.
Dall'altro lato del laghetto due anziani "babbi dei fiori" (troppo in là con gli anni per esserne figli) giocavano a scacchi, accomodati su due tanto fatiscenti, quanto sontuose poltrone di pelle, incuranti di tutto quello che succedeva intorno, in particolare del volume sonoro provocato dalle grida dei giochi di una nidiata considerevole di loro cuccioli e loro aggregati.
La collettività era bene organizzata nell'improvvisare una società in perenne mutamento.
Mi ero nascosto all'ombra di me stesso, perchè non avevo ancora strumenti sufficienti per muovere anche un solo passo.... in pochissimo tempo l'unica realtà che conoscevo era stata affiancata da altre "verità", che mi portavano su un territorio di scelta che io, non essendo stato educato a tale opportunità, vedevo con un po' di timore.
È stato così che ho scoperto che le cose non le conosci, a meno che non le incontri, o (meglio) ci sia chi te le prospetta. Nel contempo, ho afferrato un concetto di base: solo pochi eletti sono disposti a rinunciare ai propri convincimenti, in presenza di una prospettiva terza che si possa considerare migliore dopo averla vagliata con la dovuta attenzione; i più restano rinchiusi nei propri recinti, a difendere ottusamente principi e valori che essi stessi per primi non sono stati in grado di capire e accettare, concentrati com'erano nel fruizione dei circenses offerti dal despota di turno.
Questa è l'amara realtà, la lbertà assoluta è un mito, ma esistono diverse modulazioni di questo mito che sono attuabili, bisogna scegliere quale. Quella collettiva, soddisfa esigenze molto aperte e ne chiude alcune  individualistiche; quella individuale, che non avrebbe controindicazioni di sorta, se fosse regolata da una vera attenzione ad alcuni aspetti della collettività, ma quest'ultimo aspetto è piuttosto complesso, tanto che si vive in un mondo che anela a rigorose leggi che limitino qualsiasi cosa, che valgano (ovviamente) per gli altri e non per noi..

martedì 22 ottobre 2013

La via maestra

Mi aveva indicato in modo chiaro e con parole semplici, quale fosse la via maestra.... ma io, semplicemente, non l'avevo saputa seguire, quasi mai si riesce a fare ciò che è giusto o ciò che si vorrebbe. I sentieri delle vicende che generano la voglia di consigli (tanto per non prendersi fino in fondo le proprie responsabilità), sono più spesso battute dai passivi, che non dagli attivi... questione di tempi.

Constatazioni

La strada era bagnata, aveva piovuto tutta la notte.
Ero stato a letto perchè non avevo avuto alcuna voglia di uscire con l'ombrello.
Per la verità, non avevo avuto alcuna voglia di uscire neppure senza ombrello.
Insomma, non mi ero mosso di casa e avevo deciso che quella notte la pioggia avrebbe fatto a meno di me.
Ancora non lo sapevo, ma gli avvenimenti di quella sera cambiarono per sempre la mia vita, facendole prendere una direzione che era del tutto inaspettata.
È strano, le cose succedono sempre quando prendi tutte le misure affinchè nulla accada.
Quel pomeriggio, prima che piovesse, la strada era bagnata lo stesso. Questo particolare non mi era sfuggito, tanto che mi ero domandato: "ma come? non piove, non ha piovuto e la strada è bagnata lo stesso?.... ma quale malefico sortilegio è mai questo?"
Nonostante avessi la domanda, non avevo la risposta. La strada era bagnata e tanto doveva bastare. 
Fu per questo che quella notte piovve sul bagnato, ma nessun altro se ne accorse,  a parte me e la mia vita, che era cambiata senza che mi rendessi conto di quello che era successo, proprio perchè il piovasco mi aveva distratto, almeno nell'immediato.

sabato 12 ottobre 2013

Tormenti da filosofie alimentari.

L'ultima foglia era caduta, ma non c'era nessun albero e nessun autunno. Stavo preparando l'insalata e avevo spezzettato con cura e rigorosamente con le mani le foglie di lattuga, accuratamente lavate, prima di preparare la vinagrette per il condimento, lasciando che ogni singolo pezzetto cadesse nella ciotola di cristallo che avevo scelto. 
Già, mi ero ridotto a fare l'insalata, perchè si era esaurita la vena sanguigna della carne e avevo dovuto accomodarmi su posizioni vegetariane, seppure con un certo sussiego, non privo di alterigia.
D'altronde, il colesterolo e i trigliceridi non mi avevano lasciato scampo e volevo evitare (almeno per il momento) la fine di Little Tony, un noto cantante italiano, ucciso dai fermenti lattici vivi del suo yogourt miracoloso preferito e da un cedimento strutturale delle fibre coronariche.
A causa di questo spauracchio, i cibi proteici avevano subito una drastica riduzione; gli acidi urici e la prospettiva dolorosa e demodé della gotta, mi aveva indotto a moderare l'ingestione di proteine più o meno nobili, a vantaggio di altri, meno aggressivi per le pareti del mio stomaco e per il lavoro frenetico del mio metabolismo.
Il mio senso cromatico ne era uscito a pezzi, esattamente come le foglie di quella malcapitata lattuga, ma non ci sarebbe stato alcun condimento consolatorio e la mia dedizione al colore sarebbe appassita miseramente, senza che il risultato del mescolamento dell'olio e dell'aceto balsamico potessero lenire il dolore tormentoso di una decadenzza senza fine.
Dall'altra parte del tavolo c'era il muro che separava la cucina dalla sala da pranzo, un muro che sembrava incrollabile, come la fede che mi aveva sostenuto nell'amaro passaggio al cibo vegetale. Un calice imbevibile era stato appoggiato alle mie labbra dissacrate e inclinato in modo che il contenuto liquoroso potesse scorrere fin dentro la bocca e poi inarrestabile fino alle viscere, lasciando un amaro alone indelebile  nel ricordo delle mie malcapitate papille.
Erano quei momenti in cui la domanda topica sul senso della vita si svilisce nel significato, fino a ridursi a un'attestazione di indifferenza fra il respirare e il cessare definitivamente tale attività, per lasciare spazio all'armonia dell'universo
Avevo tolto gli specchi, non era possibile mantenere il decoro dell'essere umano di fronte ai continui ostacoli che la natura inventa per complicare la vita e ricordare ai mortali di avere un termine nel vuoto a perdere biodegradabile che costituisce la carcassa della loro anima.
Decisi che una mera insalata di lattuga non avrebbe avuto l'influsso consolatorio che andavo cercando, il rosso poteva essere ben rappresentato dai pomodori e dai ravanelli che, oltretutto, una volta tagliati avrebbero costituito una macchia di bianco rosato, che avrebbe arricchito la tavolozza vegetale.
A quel punto il giallo fu distribuito da peperoni e mais, mescolati accuratamente, in modo da dare una varietà in chiaroscuro al monocromatismo, reso lucido dal condimento, il bianco con riflessi verdastri dei cetrioli e il grigio bruno delle olive completavano il ventaglio di colori necessario a non farmi sentire già morto.
Il momento del condimento durò diversi minuti, come se mi aspettassi che i vari colori si fondessero, perdendo la peculiarità di ciascuno, per creare una nuova realtà, ma è ovvio che così non avvenne.
Apparecchiai e misi il frutto della mia fatica a tavola. Mi sedetti a mangiare e, boccone dopo boccone, la tristezza del vegetariano si impadroniva delle mie cellule nervose. Perchè avevo fatto quella scelta? Non volevo uccidere animali per nutrirmi, o avevo, piuttosto, una paura fottuta di veder finire i miei giorni per una definitiva ostruzione arteriosa?
Non avevo nei miei orizzonti la banalità delle posizioni animaliste di maniera, d'altronde che piacesse o meno, madre natura mi aveva dato in corredo quattro splendidi canini, che mi identificavano "anche" come carnivoro e mi aveva tolto ogni senso di colpa nel sopprimere un esemplare animale al fine di nutrirmi.
All'improvviso mi apparve del tutto evidente che la filosofia vegetariana era lontana da me anni luce e che per nessun motivo avrei potuto soggiacere senza dolore alle sue regole, ma, purtroppo per me non avevo voglia di andare a comprare della carne, avevo fame.
Abbandonai per un istante l'insalata multicolore, presi il pane pugliese dalla dispensa, le salsicce di lardo di Colonnata dal frigo e la forma di pecorino sardo dal ripostiglio. Con la tavola così imbandita, anche l'insalata assunse sembianze più simpatiche e di cntorno, cedendo (non so quanto volentieri) il ruolo di protagonista, per assumere quello più congeniale di comparsa.
La mia deriva vegetariana aveva concluso la sua parabola, lasciando di nuovo il passo a una concezione onnivora che mi soddisfece pienamente non appena addentai la fetta di formaggio che avevo appena tagliato.


venerdì 11 ottobre 2013

Il duro lavoro

Stavo lavorando con scalpellino e mazzuolo da circa 3 ore. In tutta la mia vita non avevo mai visto tante incrostazioni calcaree.... d'altronde la pulizia dei denti di Filippo era toccata a me.
Non sto a parlarti dell'aria acida che fuoriusciva dalla cavità orale, ma l'arcata dentale te la devo proprio raccontare, un paio di tonnellate di avorio disposte in modo non ordinatissimo, piuttosto usate, a giudicare dalle incrostazioni che stavo rimuovendo.
Avevamo montato un piccolo ascensore, assicurato da doppie corde, che potesse contenere una persona... me, per l'appunto, senza altre misure che potessero garantire la sicurezza. Per comodità avevo cominciato dai molari, perchè sapevo che sarebbe stato lì il lavoro più lungo. Avevo già mandato giu almeno 15 secchi di residui calcarei e non ero ancora arrivato ai premolari.
Avevo anche chiesto aiuto, ti puoi immaginare con quale risultato, il boss non voleva spendere e, comunque, i miei compagni di lavoro si guardavano bene dal proporsi per sveltire quell'agonia fetida che mi stava facendo lentamente soccombere.
All'inizio della quinta ora ero verde in volto, coi crampi alle mani e con 34 secchi di detriti scaricati. I premolari erano un ricordo, toccava ai canini e agli incisivi.
A parte lo schifo del reflusso gastroesofageo, Filippo stava tranquillo e questo facilitava un poco il mio compito, seppure ti debba confessare che oltre sei ore a respirare miasmi acidi, mettono a dura prova chiunque, persino me.
Quando finisco con gli incisivi, monto nel cestello per tornare giù.... i secchi sono stati in tutto 41... una faticata bestia, ma alla fine tutto era concluso.
Ero salito con le prime luci del giorno ed eravamo quasi al tramonto, dieci ore in una situazione che definire schifosa non rende appieno l'idea, ma era l'unico lavoro che avevo trovato e tu sai quanto ne avessi bisogno.
Il boss mi apostrofa: "Dove cazzo credi di andare?", "A dormire, boss, tutto quell'acido respirato, mi ha tolto anche la voglia di mangiare." rispondo mentre mi levo la tuta impermeabile.... "E l'arcata di sotto?" fa lui sputando un po' di tabacco del sigaro puzzolente che biascicava costantemente spostandolo da un angolo all'altro della bocca.
"L'arcata di sotto falla fare a qualcun altro o la facciamo un altro giorno".
L'espressione del volto non era rassicurante, e un rossore tendente al violaceo stava salendo velocemente dal collo a colorare tutto il viso.... era l'espressione che precedeva lo sbotto.
"Torna immediatamente sù a finire il lavoro" sbraitò con un livello di decibel che mi fece sanguinare un orecchio. 
Ero troppo stanco per stare a discutere, non sarei tornato nell'antro del vomito incipiente per tutto l'oro del mondo, volevo solo dormire. Senza dire una parola gli piantai lo scalpello nel mezzo della fronte con un movimento rapidissimo e un colpo secco del mazzuolo, lasciandolo a bagnomaria nel suo stesso sangue, e me ne andai verso casa a fruire del mio meritato riposo.
Non ero pentito per niente di aver messo fine in modo definitivo a quella fastidiosa discussione, lo sai che non sopporto le persone che urlano e poi non avevo la forza di parlare, ero veramente troppo stanco. Peccato che, avendo soppresso quello che mi pagava, ho perso il lavoro
Domani andrò al centro per l'impiego a cercare qualcosa da fare.

domenica 6 ottobre 2013

La fuga dai punti di fuga (prospettive concorrenti)

La concentrazione di archi in uno spazio ridotto a poche decine di metri, era la caratteristica di quel corridoio, tanto che tutti gli aspiranti artisti vi si recavano per mettere alla prova la loro capacità, nel rappresentarlo, di dare profondità a una prospettiva bidimensionale manichea.
La vera forza di quel corridoio stava nella sua capacità di illudere chiunque che la mano potesse in qualche modo riprodurre in maniera perfetta quello che gli occhi riuscivano a creare nel canovaccio della mente, il senso della tridimensionalità nella visione assumeva sembianze talmente credibili, quali quelle che solo l'immersione totale nella realtà può dare.
Mi trovavo là per gli stessi motivi per cui c'erano andati tutti gli altri, vedere da vicino quella realizzazione dell'Uomo, capace di trasformarsi in astrazione delle geometrie concrete, secondo dei criteri che erano ancora tutti da individuare.
Ero seduto in terra da quasi due ore e ancora la mano non era riuscita a sostituirsi agli occhi. Avevo gettato via almento una quarantina di fogli e impiegato una decina di matite diverse. Il risultato non mi aveva entusiasmato nemmeno un po'.
D'altronde, a differenza di tutti gli altri, il mio obiettivo non era quello di rappresentare la realtà, ma di riprodurla in modo tale che che le due opere, la realtà e la mia, fossero perfettamente sovrapponibili. Come se il creato fosse duplicabile e io fossi una sorta di clone di Dio.
Non riuscendo in risultati accettabili, dovetti uscire dal mio corpo e spostarmi di una decina di metri, per osservare i miei patetici tentativi da un'angolazione che, nella mia testa, aveva la particolarità di farmi vedere la scena con un ottimo margine di oggettività. 
Nulla da fare, la visione, per quanto molto migliorata, non era all'altezza delle aspettative e in più c'era il problema che l'osservazione esterna di me, creava uno scompenso di considerazione fra quello che mi sentivo di essere e quello che vedevo con gli occhi dell'anima dall'altra angolazione. Uno scompenso forte, quasi destabilizzante, che, con un termine molto di moda oggigiorno, potremmo definire lo spread fra il soggettivo e l'oggettivo a tutto vantaggio della primo parametro sul secondo, con le inevitabili alterazioni speculative del mercato dell'autoconsiderazione.
Avrei potuto restare là, seduto per ore intere, a osservare il rincorrersi dei punti di fuga in contrapposizione alla mia staticità... ma non era quello che mi avrebbe mi avrebbe risolto la giornata e, forse, non era nemmeno quello che stavo cercando quel giorno grigio.
Stare fermo avrebbe solo aggiunto ombre, laddove c'era già poco sole... e, paradossalmente, mi sembrava una buona idea, tutto sommato.
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