lunedì 30 settembre 2013

Il catalogatore

Troppi giorni passano nella confusione più totale, le cose passate, le esperienze trascorse, si ammassano alla rinfusa e non si sa di preciso cosa sia successo e cosa no. Ho ricordi sul divano, dentro la dispensa e persino nel mobiletto del bagno, fra un colluttorio e un bagnoschiuma.
Faccio il caffè e, aprendo un cassetto per prendere un cucchiaino, saltano fuori anche da lì dentro. Vero che non si può essere schiavi dell'ordine, ma una confusione così sistematicamente casuale è un caos disarticolato, niente a che vedere col caos creativo che porta avanti l'universo.
Il tempo è una convenzione, ma scandisce l'ascesa e il decadimento del corpo e dello spirito. Nessuno può sottrarsi alla vita e alle sue leggi e per tutti arriva il momento di mettere ordine nella propria testa, o almeno di provarci seriamente.
Strani pensieri mi affollano la testa in questa mattinata di fine estate e tutto è scaturito da un incidente di percorso che mi aveva sbattuto contro un muro di come e perchè...e posso assicurare che non è meno doloroso di quello di mattoni.
Le certezze sono diventate variabili, una per una, e si sono mischiate come le carte dopo una mano di poker.
Sarebbe facile poter aprire un libro di ricette della vita e seguire passo passo le istruzioni per affrontare il momento in cui occorre mettere ordine nelle cose e capire dalle diverse esperienze a quale punto si è arrivati, ma non è mai stato pubblicato un Artusi di questo genere e recenti informazioni mi convincono che, forse, non è mai stato neppure scritto.
Decido di bere quel caffè appena fatto, ero andato verso la cucina, convinto di poterlo preparare senza intoppi. In effetti, era stato proprio così, la moka era pulita, il barattolo della polvere era al suo posto e c'era persino un cartone di latte che mi guardava con interesse dal frigo. La realizzazione non aveva avuto contrattempi e la tazzina con il liquore fumante è adesso nella mia mano, in attesa di essere portata alla bocca.
La questione da risolvere con maggiore urgenza è che non ho gli scaffali adeguati dove riporre le idee, le parole, le esperienze e persino i sentimenti. Solo due grossi contenitori, quello del bene e quello del male, che sono già qualcosa, quanto meno hanno il primo importante contribuito a un grande immenso discrimine iniziale, ma al loro interno il disordine era totale.
Come fan convinto del "fai da te" ho deciso di procurarmi le attrezzature necessarie a una specie di Ikea dello spirito, per rendermi conto con un certo stizzito disappunto che in questo genere di sistemazioni il "bricolage" non è di nessun supporto, occorre fare intervenire gli "specialisti", perchè sia l'infrastruttura che il lavoro di sistemazione richiedono l'intervento di persone esperte che abbiano dimestichezza con entrambi gli aspetti, quello realizzativo e quello di collocazione, poichè non esistono teste uguali e quindi ogni singolo evento è un lavoro da svolgere su misura.
Mi sento spaesato, mentre sorseggio un normalissimo caffè, decido allora che addentare un biscotto potrebbe essere il toccasana che può risolvere la mattinata. Sono le nove in punto.
Alla fine il gesto è automatico, prendo il telefono e compongo il numero del servizio informazioni. "Avrei bisogno di un catalogatore della psiche" dissi con affabilità alla gentile signorina.
"Ha già un nominativo?" risponde lei
"No, me ne dia uno, tanto credo che uno valga l'altro"...
"Non è proprio così, signore, esistono diverse categorie di catalogatori, dipende dal lavoro che occorre svolgere.... ha già creato l'ambiente adatto alla sistemazione dei dati?"
"No, purtroppo no. Ho solo due grandi contenitori di confusione, ma niente di più"
"Capisco, quindi l'intervento è piuttosto complesso e richiede anche la creazione delle scaffalature necessarie, un catalogatore falegname potrebbe fare al suo caso, ma anche un catalogatore carpentire metallico, in quel caso il lavoro sarebbe più duraturo ma meno duttile."
"Faccia lei...."
In quel momento esatto, mi rendo conto che sto affidando il mio equilibrio futuro a un'operatrice di call centre.... devo essere impazzito.
"Anzi, lasci perdere, richiamerò quando avrò le idee più chiare,. Buona giornata"
Non attendo neppure la risposta al mio saluto e attacco il telefono.
Devo pensarci su. Decido che una camminata aiuterebbe a intraprendere una strada, piuttosto che un'altra. Mi metto addosso materiale leggero da jogging e mi avvio verso la porta.
Sto chiudendo dietro di me il cancello, quando mi si para davanti un signore con la barba folta, un sorriso accattivante e una valigetta d'alluminio in mano.
"Buon giorno, sono il catalogatore."

domenica 15 settembre 2013

Intenso

Mi girai di scatto e la vidi. Era quella che avremmo potuto definire un bel tipo e mi guardava intensamente. Con quegli occhi scavava dentro di me alla ricerca di qualcosa e teneva la bocca leggermente pronunciata... dev'essere per quello che le dissi, agitando la mano destra con le dita raccolte: "che cazzo vuoi?".

martedì 10 settembre 2013

Dopo....

Dopo l'amore, accaldata, riversa ansimante sul letto, lei mi diceva sempre "Che meraviglia, mai con nessun altro come con te"..... doveva essere vero, perchè lo diceva a tutti.

lunedì 9 settembre 2013

La versione di lei.

Era una mattina come tante altre ce n'erano state, ma quella era particolare perchè Pino venne da me con un pianto incipiente.... "Capisci che mi ha lasciato?"
Certo che lo capivo, aveva lasciato me prima di lui perchè doveva pensare alla carriera, ma lui non lo sapeva (o almeno così credevo) e non sapevo se questa cosa mi generava goduria oppure no.... ma a vederlo in quello stato forse no..
"Certo che ti ha lasciato, cosa ti aspettavi? che restasse con te in eterno? Lo sai che te la ha data per un solo motivo, ottenere il posto che occupa.... è fatta così".
Era proprio disperato, prostrato. Lo capivo, Lei era un trofeo che si metteva malvolentieri sullo scaffale, era molto meglio il periodo in cui lo si poteva esibire con l'orgoglio tutto maschile, tanto vuoto, quanto perseguito dai più.
Avevo ben vivo nella mente il ricordo dei due anni passati insieme, un connubio perfetto di sesso e parole e mai parole banali. Questo era stato il nostro incontro. Una Shao Yang in piena regola, agguerrita in tutti i campi del tatticismo muliebre, assolutamente perfetta. 
Ma Pino era tutt'altro che rassegnato "Si stava bene, mi rendo conto che una così era molto al di là delle mie aspettative, ma eravamo felici insieme". Evidentemente quando si è coinvolti direttamente, sfugge l'uso politico che alcune femmine fanno dei loro orifizi e della loro abilità amatoria (mi verrebbe da dire moltissime, ma per il momento diamo il beneficio del dubbio).
Pat aveva le conoscenze e l'abilità di far valere la sua supremazia al fine di ottenere ciò che voleva, questo era l'amaro particolare che sfuggiva a Pino (naturalmente).
"Guarda che ho sofferto anche io quando è finita con me, ma ti assicuro che poi passa..." Non avevo altro modo per consolarlo che accennargli il fatto che esisteva chi c'era passato prima di lui e ne era uscito, magari con qualche acciacco, ma ne era uscito.
"Lo so, ma tu non ci sei mai stato a letto, mi ha detto tutto, cosa credi?.... il vostro era un semplice rapporto spirituale, come si dice? platonico, con me, invece......"
Già, con lui invece....... quante cretinate si era bevuto? magari l'aveva convinto di essere stato il primo e l'unico e lui, povero scemo, si era sentito onorato di quella fortuna che (immeritatamente) il cielo gli aveva assegnato. 
Potevo far crollare il suo castello di vanagloria? No davvero, ho preferito restare incastonato in un rapporto platonico, così come la versione di lei mi aveva affidato al suo immaginario.

L'analisi

L'infermiera lo aveva squadrato sommariamente, con l'aria distratta che hanno tutti coloro per cui intervenire sulle persone è diventata una routine. Lui l'aveva invece osservata bene, nei minimi dettagli, come tutti quelli che si trovano di fronte alla persona da cui dipende il buon esito di qualsiasi operazione.
In realtà, si trattava di un banale prelievo, niente di speciale, un ago in una vena del braccio e un'aspirazione per riempire la provetta. Una procedura standard che a seconda della parte del tavolo ove si sta assume valore ordinario o straordinario.
"Scopra il braccio" era stato l'invito assente, detto senza alcuna variazione nel timbro e nel tono. Ma gli occhi cambiarono espressione, come lesse la prescrizione e, mentre lui si sedeva col braccio bene in mostra, lei afferrava il telefono per chiedere conferma se avesse compreso bene. Ottenne la conferma e le istruzioni puntuali di come avrebbe dovuto operare. 
Lo guardava con occhi diversi, adesso, ma lui non se ne accorse, tanta era la tensione per quello che è considerato da tutti una banalità nell'accertamento annuale dello stato di salute.
Lei gli avvolse il laccio emostatico intorno al braccio e lo legò in modo da produrre quel gonfiore dei vasi, che le avrebbe facilitato l'introduzione dell'ago.
La punta dell'ago, col taglio rivolto verso l'alto, penetrò la pelle con una certa facilità e si introdusse nella vena che lei aveva scelto. Lui le sorrise, aprendo la bocca carnosa. I denti sembravano ancora più bianchi in contrasto con  la pelle scura. Lei ricambiò il sorriso tiepidamente, sciolse il laccio emostatico, finì di riempire la provetta e coprì il foro d'entrata dell'ago con un batuffolo di cotone umido, mentre estraeva la siringa.
Mise un cerotto e versò il sangue in due provette con strane sigle.
Lui si alzò e si ricompose il braccio, coprendolo con la manica della camicia e la salutò.
Lei sorrise e ricambiò il saluto, era la prima volta che le capitava di fare il prelievo a un nero ed era come meravigliata nello scoprire che il suo sangue aveva lo stesso colore di tutti gli altri campioni che prelevava quotidianamente da diversi anni, da quando lavorava lì. 
Il disorientamento era semmai dovuto alla richiesta del medico curante del nero, atta ad accertare se nel sangue di Alì vi fossero tracce di musica o di ritmo... o di entrambi.


venerdì 6 settembre 2013

Ma ci interessa davvero?

Era la terza strada a destra, era quella che non prendeva mai nessuno, quella che veniva sistematicamente ignorata dai locali, per le folle di media che diramavano nel mondo le immagini di quella bizzarria..
Non che fosse brutta o pericolosa, anzi tutt'altro, era una bella strada incorniciata fra pratini all'inglese e alberi di tiglio, belle case tutte uguali, nella migliore tradizione del luogo comune britannico.
Era "la" strada che caratterizzava al meglio il "british way of life", nel modo preciso in cui se lo immaginano coloro che britannici non sono.
Nulla di male a destinare un pezzo del proprio territorio al sostegno del luogo comune, quello che alimenta le differenze fra i popoli. Nulla di male a dare di sè l'immagine che gli altri pretendono, perchè l'ignoranza ha modellato dei criteri di riconoscimento, che la conoscenza non avrebbe neppure sfiorato. Ma è arcinoto che la realtà difficilmente supera la fantasia, quando quest'ultima sia bene coltivata.
Comunque sapevo che era la terza strada a destra e sapevo che non l'avrei percorsa, sapevo che avrei girato lo sguardo per osservare da un punto privilegiato quello che non è, ma che appare nell'immaginario offuscato dei cultori dell'ignoranza, il trionfo di quello che si dice, contrapposto a ciò che è veramente.
Non potevo perdere quell'occasione, era una delle poche che mi si era parata dinnanzi in quell'ultimo scorcio di primavera, quando il tepore cominciava  ad accompagnare con una certa regolarità i miei passi.
Ora posso dire che non la persi. Mi incamminai con la mia solita andatura, un po' lenta, un po' caracollante e, passo dopo passo, mi avvicinavo, lentamente ma inesorabilmente, all'intersezione della terza strada con la via principale..... il primo ramo di tiglio si affacciava curioso dall'angolo della prima casa.... una questione di primati.
Il moto rettilineo ha il pregio di portare il soggetto dell'azione sempre avanti sulla linea rappresentata dalla strada principale. La scelta non è complessa, vai, ti fermi; vai e ti fermi. Un codice binario dello spostamento, che non genera alcun conflitto interiore, se non quello della facile decisione che corre fra il sì e il no.
Il mio no arrivò non appena mi trovai nel bel mezzo dell'intersezione e interruppi con disinvoltura il movimento degli arti inferiori, per passare a una torsione del capo nella direzione della strada fasulla.
Era esattamente come me l'ero immaginata, uomini con ombrello e bombetta, tavole imbandinte con fette di pane tostato e jam volontà. Taxi d'epoca e cabine telefoniche rosse. Una goduria per lo sguardo e un riposo indicibile per il cervello che non si doveva sobbarcare di parametri anomali rispetto a quelli conosciuti.
Neppure per un istante mi venne in mente di girare la punta delle scarpe, ma gli occhi non potevo non girarli.
La domanda che ora dovevo farmi era se mi interessava o meno il luogo comune. La risposta reattiva era no, non mi interessava. È anche vero che vivo nel mondo dove vivono tutti gli altri, e gli "altri" si cibano quotidianamente di luoghi comuni, fino a farne una componente quasi religiosa della propria esistenza.
Insomma, per farla breve, dovevo conoscerlo, anzi, riconoscerlo e quella era una bella occasione per imparare a usare la testa, senza sprecare energie superflue, da impiegare in modo più consono in. altre attività.
Il viale principale sfociava nell'arteria nevralgica di Londra, fra le due giugulari e le vene varicose che il progresso aveva lasciato in scomoda eredità.
Mi fermai seduto su una panchina sulla sponda del Tamigi e mi chiesi con insistenza se ne fosse valsa la pena. Ero un po' infastidito dall'insistenza della domanda, ma mi risposi lo stesso e la risposta fu "sì", ne era valsa la pena anche se (forse) non a tutti interessava.