giovedì 16 febbraio 2012

Incontrare Irene

Incontrai per la prima volta Irene sulla strada che da Rieti saliva a L'Aquila, per scendere poi, curva dopo curva, verso l'Adriatico, attraversando pianure e parchi  fra i monti più massicci dei massicci monutosi appenninici.
Stava seduta al tavolo del ristorante di un albergo, perché da quelle parti usa così; non ci sono ristoranti e/o trattorie, gli albergatori sono anche ristoratori e baristi.
Mi faceva un po' strano quella cosa a cui non ero abituato, intorno a casa mia (intendo nel raggio di tutta la regione) ci sono un numero tale di trattorie, ristoranti e tavole calde, da nutrire un'armata che stia facendo l'attraversamento del territorio per recarsi allo scontro decisivo.
Non era una figura che passasse inosservata, anzi potremmo definirla con un'esclamazione che veniva spesso utilizzata al suo passaggio: uno schianto. Alta, moderatamente formosa, con uno sguardo intenso e verde e i capelli castano rossicci raccolti quasi sempre a crocchia con l'aiuto di una matita. Già, perché questa era Irene, una che appariva senza volerlo, la persona che si sarebbe notata nella stanza con decine e decine di altre ragazze, come se tutte le altre sparissero d'incanto al suo apparire. Consapevole di questo suo potere e, al tempo stesso, incurante come se la cosa non la riguardasse neanche un po'.
Era stata inglese, prima di acquisire la cittadinanza e il passaporto croato, pur mantenendo anche lo status di suddito britannico. Ma il suo sogno era quello di diventare sarda ed era contrariata dal fatto (a suo dire incomprensibile) che non potesse realizzare la sua aspirazione, la Sardegna, infatti, non consentiva di acquisire alcuna cittadinanza, se non quella italiana.
Ma lei non voleva essere cittadina italiana, non le interessava affatto, un po' per snobismo, e un po' per quell'imprinting di superiorità imperialistica che la nascita britannica le aveva recato in dote, voleva essere cittadina sarda, sic et simpliciter.
Era rimasta conquistata dalla ruvidezza di quella terra che aveva forgiato a sua immagine i caratteri delle persone che lì erano cresciute, era rimasta colpita dalla povertà dei disvalori dominanti nel resto del continente e dalla ricchezza che il pensiero di una terra così aspra, riusciva a esprimere, l'attenzione religiosa alla persona e a tutto il corollario di valori accessori che ne contribuiscono la crescita e il mantenimento.
Non è difficile, per chi vada a quelle latitudini, innamorarsi delle persone e dei luoghi e desiderare di spenderci il residuo del proprio tempo. Come in altre epoche, nel pensiero giovanile collettivo, l'Irlanda era diventata il cimitero degli elefanti, dove invecchiare e morire nella giusta immersione di serenità, tutto questo ovviamente prima che la "new economy" la trasformasse in un territorio di rapina e depredazione, per diventare quella landa verde di desolazione collettiva che si trova ad essere ora.
Le razzie dei mongoli della "new economy" hanno devastato tutto quello che poteva essere devastato e avevano distrutto il tessuto sociale, filato in secoli e secoli di faticosa vita in comune.
La Sardegna aveva e ha molte attinenze con l'isola del trifoglio, a partire dal fatto di essere isola. La vocazione agricolo pastorale, la ricchezza delle tradizioni culturali, musica in testa, la capacità delle persone di essere singoli pianeti e sistema solare al contempo. In verità è assai più marcata la prima caratteristica, rispetto alla seconda, che ha, comunque, caratteri significativi quando compariva la inaccia esterna, il nemico comune.
Anch'essa era stata oggetto delle attenzioni dei millantatori forieri del benessere che non arriverà mai, anch'essa si era lasciata affascinare dalle suadenti parole dei predatori venuti dal continente con grandi progetti per arricchirsi.
Irene non si era spiegata come mai i sardi avessero voluto dare credito a quel venditore porta a porta di benessere fasullo, forse il tempo passato in povertà era stato eccessivo e il desiderio di uscirne rapidamente talmente forte da annebbiare la fortissima capacità di analisi che hanno solo quelli che vengono dalla terra e ne mangiano i frutti, faticosamente lavorati.
Avevamo finito di mangiare e avevamo anche finito i racconti, c'era solo una cosa da fare ancora, finire il caffé, poi saremmo risaliti sulle nostre auto e ci saremmo salutati. Sapevamo bene che ci saremmo reincontrati, le strade della ricerca di libertà si incrociano sempre, prima o poi.

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