lunedì 27 febbraio 2012

La raffica

Dopo avere letto e ponderato le tesi di Sant'Agostino, sull'essenza stessa della domanda delle domande, viene da chiedersi il perché di tante cose e la risposta è sempre la stessa: "perché siamo messi alla prova".
È certo vero che la domanda non ha risposta facile, ma solo uno stolto negherebbe che certe risposte meriterebbero domande più adeguate e, magari, meno difficoltose nell'analisi risolutoria.
Alcune risposte sono come le domande, inutili, almeno fino al giorno in cui avrenno trovato la domanda giusta. 
Se le domande giuste fossero più d'una le risposte uscirebbero a raffica.

martedì 21 febbraio 2012

Se guardassi.

Se guardassi con maggiore attenzione e intensità la linea di confine fra la follia e il sentimento emulativo, scoprirei che le frontiere sono state abbattute, come cavalli azzoppati, in nome di una unione carnale e violenta fra centro e periferia, con molta confusione dei ruoli per non scoprire le carte e far crollare i castelli. 
Solo pochi, troppo pochi, hanno capito quel che succede e provano a sopravvivere, imparando nuove tecniche di respirazione yoga, più consone al periodo. 
I più cazzeggiano, bevendo uno spritz sul viale del tramonto.

giovedì 16 febbraio 2012

Incontrare Irene

Incontrai per la prima volta Irene sulla strada che da Rieti saliva a L'Aquila, per scendere poi, curva dopo curva, verso l'Adriatico, attraversando pianure e parchi  fra i monti più massicci dei massicci monutosi appenninici.
Stava seduta al tavolo del ristorante di un albergo, perché da quelle parti usa così; non ci sono ristoranti e/o trattorie, gli albergatori sono anche ristoratori e baristi.
Mi faceva un po' strano quella cosa a cui non ero abituato, intorno a casa mia (intendo nel raggio di tutta la regione) ci sono un numero tale di trattorie, ristoranti e tavole calde, da nutrire un'armata che stia facendo l'attraversamento del territorio per recarsi allo scontro decisivo.
Non era una figura che passasse inosservata, anzi potremmo definirla con un'esclamazione che veniva spesso utilizzata al suo passaggio: uno schianto. Alta, moderatamente formosa, con uno sguardo intenso e verde e i capelli castano rossicci raccolti quasi sempre a crocchia con l'aiuto di una matita. Già, perché questa era Irene, una che appariva senza volerlo, la persona che si sarebbe notata nella stanza con decine e decine di altre ragazze, come se tutte le altre sparissero d'incanto al suo apparire. Consapevole di questo suo potere e, al tempo stesso, incurante come se la cosa non la riguardasse neanche un po'.
Era stata inglese, prima di acquisire la cittadinanza e il passaporto croato, pur mantenendo anche lo status di suddito britannico. Ma il suo sogno era quello di diventare sarda ed era contrariata dal fatto (a suo dire incomprensibile) che non potesse realizzare la sua aspirazione, la Sardegna, infatti, non consentiva di acquisire alcuna cittadinanza, se non quella italiana.
Ma lei non voleva essere cittadina italiana, non le interessava affatto, un po' per snobismo, e un po' per quell'imprinting di superiorità imperialistica che la nascita britannica le aveva recato in dote, voleva essere cittadina sarda, sic et simpliciter.
Era rimasta conquistata dalla ruvidezza di quella terra che aveva forgiato a sua immagine i caratteri delle persone che lì erano cresciute, era rimasta colpita dalla povertà dei disvalori dominanti nel resto del continente e dalla ricchezza che il pensiero di una terra così aspra, riusciva a esprimere, l'attenzione religiosa alla persona e a tutto il corollario di valori accessori che ne contribuiscono la crescita e il mantenimento.
Non è difficile, per chi vada a quelle latitudini, innamorarsi delle persone e dei luoghi e desiderare di spenderci il residuo del proprio tempo. Come in altre epoche, nel pensiero giovanile collettivo, l'Irlanda era diventata il cimitero degli elefanti, dove invecchiare e morire nella giusta immersione di serenità, tutto questo ovviamente prima che la "new economy" la trasformasse in un territorio di rapina e depredazione, per diventare quella landa verde di desolazione collettiva che si trova ad essere ora.
Le razzie dei mongoli della "new economy" hanno devastato tutto quello che poteva essere devastato e avevano distrutto il tessuto sociale, filato in secoli e secoli di faticosa vita in comune.
La Sardegna aveva e ha molte attinenze con l'isola del trifoglio, a partire dal fatto di essere isola. La vocazione agricolo pastorale, la ricchezza delle tradizioni culturali, musica in testa, la capacità delle persone di essere singoli pianeti e sistema solare al contempo. In verità è assai più marcata la prima caratteristica, rispetto alla seconda, che ha, comunque, caratteri significativi quando compariva la inaccia esterna, il nemico comune.
Anch'essa era stata oggetto delle attenzioni dei millantatori forieri del benessere che non arriverà mai, anch'essa si era lasciata affascinare dalle suadenti parole dei predatori venuti dal continente con grandi progetti per arricchirsi.
Irene non si era spiegata come mai i sardi avessero voluto dare credito a quel venditore porta a porta di benessere fasullo, forse il tempo passato in povertà era stato eccessivo e il desiderio di uscirne rapidamente talmente forte da annebbiare la fortissima capacità di analisi che hanno solo quelli che vengono dalla terra e ne mangiano i frutti, faticosamente lavorati.
Avevamo finito di mangiare e avevamo anche finito i racconti, c'era solo una cosa da fare ancora, finire il caffé, poi saremmo risaliti sulle nostre auto e ci saremmo salutati. Sapevamo bene che ci saremmo reincontrati, le strade della ricerca di libertà si incrociano sempre, prima o poi.

domenica 12 febbraio 2012

Imperfetti

Spingevo sui pedali con una certa foga da almeno 2 ore e avevo calcolato che ancora mancasse un paio di chilometri. Arrivare a destinazione avrebbe richiesto metà della mattinata.
In altri tempi sarebbe bastata un'ora e un po' di concentrazione alla guida dell'auto. Nulla era più come prima, il mondo aveva improvvisamente cambiato strada e con lui aveva cambiato direzione anche la mia vita. Succedeva così in quei periodi in cui i motori a scoppio sembravano incompatibili col contenuto del mio borsellino, come tante altre cose, del resto..
La mattina era cominciata la sera prima, anzi due sere prima, per essere precisi, e si era protratta per oltre 48 ore continuative. Una mattina lunga, insomma.
 Le notizie arrivavano con maggiore lentezza, ma arrivavano. I primi tempi ci sembrava che tutto ci crollasse intorno, tanto eravamo abituati alla frenesia dell'esserci sempre e in tempo reale.... poi avevamo imparato che nulla di quanto avevamo era indispensabile e i telefonini, i computer, i pad (più o meno hi) si erano accatastati nelle discariche per materiali tecnici, formando montagne, in attesa di finire in briciole sotto le presse.
La lentezza aveva riconquistato il mondo e anche la nostra salute, sia fisica che mentale, era migliorata al punto che le giornate si erano dilatate e la percezione del tempo aveva subito una radicale trasformazione.
Lo scheletro dei vecchi impianti per la lavorazione del bicarbonato era comparso all'orizzonte e testimoniava che ero quasi arrivato. Erano ormai una testimonianza del bel tempo che fu, quando l'industria era florida e produceva profitti e sfruttamento, con parametri direttamente proporzionali fra loro. Era finita anche quell'epoca e si erano fatti i necessari passi avanti per tornare indietro e organizzare una società che avesse l'obiettivo primario del benessere delle persone.
Ero arrivato, e camminavo sulle spiagge bianche davanti alle secche di Vada. Nulla avrebbe potuto cambiare quella particolare colorazione, acquisita in anni e anni di scarico a mare degli scarti di lavorazione del bicarbonato di sodio. Ma il torrentello che avevo visto bianco per molti, moltissimi anni, ora portava a mare acqua del colore dell'acqua.
L'illusione dei Caraibi era forte qui, grazie a questa estensione di sabbia bianca, se non fosse stato per il fatto di essere a marzo.... un po' freddo, oltreutto, l'inganno sarebbe stato completo.
Venivo spesso qui a camminare e pensare. Ci venivo perchè non è vero che si può pensare ovunque.
Aveva ragione mia madre, chi può e ce la fa, deve andare a pregare in chiesa, quello è il posto dove pregare. Nel suo afflato di fede mi aveva informato della semplice verità, esistono posti adeguati, in cui fare le cose fare le cose è più semplice e, a parità di sforzo, si produce un risultato più soddisfacente.
Il pensiero è prodotto da una sinergia di fattori apparentemente indipendenti tra loro, ma che, in realtà, si concatenano gli uni con gli altri, fino a formare pensieri che la sola mente di chi pensa non avrebbe potuto produrre, e neppure ipotizzare di essere in grado di creare.
È vero, ero circondato da un paesaggio post-industriale decadente, le fabbriche erano abbandonate, ma non da un tempo sufficiente da permettere ai rampicanti di uniformarle al paesaggio, una sorta di atmosfera post-atomica, quasi irreale. Strutture metalliche e tralicci arrugginiti a testimonianza di una corsa che avevamo voluto organizzare, pensando che fosse il miglior modo di vivere.
La spiaggia bianca, il mare finto tropicale. Di fronte alle secche di Vada, non si poteva non pensare che i romani avevano conosciuto e sfruttato quello spicchio di mare come una delle più pescose zone dell'impero.
Poi, era arrivato il progresso e poi era andato via come era arrivato, con clamore, portandosi dietro urla rovinose di fallimenti e suicidi.
Eravamo stati obbligati a riconvertirci come esseri umani, a lasciare la perfezione della civiltà liberale, per regredire e tornare a respirare a pieni polmoni. Finalmente eravamo tornati ad aspirare di essere imperfetti.

lunedì 6 febbraio 2012

Θάλασσα

La struttura era molto provvisoria, una baracca rifinita, ma pur sempre una baracca. Aveva un pregio che la rendeva più preziosa di un palazzo storico nel centro della città: era davanti al mare. Ma non davanti in senso lato, proprio davanti, in senso stretto, anzi strettissimo. Bastava appoggiare lo schienale della sedia alla parete ovest della baracca e il mare era lì, che ti guardava cercando di capire cosa volessi da lui.
Cosa poteva cercare uno come me? Cosa poteva volere dal mare? Solo un poco di serenità, tranquillità, rilassamento. Devo ammettere che, in questo senso, il mare era molto comprensivo e, dopo avere capito le intenzioni di chi lo guardava con tanta insistenza, riprendeva il suo moto da risacca, dimostrandosi incurante dei presenti, con quel rumore sordo che contribuisce alla cicatrizzazione delle ferite del cuore e della mente.
Queste erano le giornate di sole di qualsiasi rigido inverno, ma anche di quelli meno rigidi, la baracca, la sedia e il mare. Il gestore di quel posto dovrebbe avere un riconoscimento in questa terra e nell'altro mondo, per l'opportunità che offre alle anime randagie, un encomio solenne per il contributo alla salute mentale di chi non avrebbe mai voluto fare ricorso agli usuali psico-farmaci.
L'iconografia tradizionale avrebbe previsto una birra, ma il freddo suggeriva cautela e indicava più consona alla contemplazione del mare, una bevanda calda, quale che fosse, dall'alcolico all'infuso, purchè l'energia diretta alla beatitudine dell'anima, non fosse in alcun modo deviata ai fini di riscaldamento del corpo.
Nelle giornate terse si poteva intravvedere la Corsica e l'Elba, poggiate con negligenza sulla linea dell'orizzonte, quasi fossero alla stessa distanza, mentre normalmente erano visibili, anche nella leggera foschia, sia la Capraia che la Gorgona.
Pur essendo da sud, la brezza leggerissima muoveva immaginari cristalli inesistenti di vera aria ghiacciata, così aguzzi da bucare senza pietà le parti di pelle esposte, era quindi bene coprirsi, seppure la tentazione fosse quella di aprire gli indumenti e procedere cantando al rito di adorazione di Aton, secondo gli insegnamenti della tradizione egizia.
Quello era il piccolo angolo di Paradiso terrestre, anzi marino, che ci era stato concesso in uso gratuitamente e grazie al quale riuscivamo a sopravvivere nella tempesta cervellottica, rappresentata dalla nostra vita quotidiana, così come ci era stata organizzata.
Seduti di fronte al mare, si perdono subito di vista le cose fondamentali della vita degli altri, non ha più senso l'economia, la finanza, la sopraffazione, la prepotenza, l'arroganza, la tracotanza e tutte quelle cose che rendono ingiusto un mondo che era (probabilmente) stato creato perchè tutti potessimo goderne. Seduto di fronte al mare ridiventavo il personaggio principale della mia vita e potevo dedicarmi a pensare, a fantasticare sui massimi sistemi e su un mondo che non sarebbe esistito, se non nelle mie visioni di quei momenti, concessi per la liberazione della mente da tutte le cattive nozioni che lo assediavano.
Era quello il mondo che volevo, non quello in cui ero costretto, ma a cui non volevo uniformarmi. Era quello il mondo che cercavo, ma mi aveva trovato lui.... erano anni che passavo di lì senza vedere nulla, poi un giorno che fui giudicato pronto, lui si manifestò e la mia vita è cambiata, forse troppo tardi, ma è cambiata.
Ora guardo il mare e ne traggo beneficio. Lui sa che lo guardo, ma sembra che non se ne curi, anzi semmai è contento, come se avesse acconsentito ad adottarmi a distanza, per quanto ravvicinata potesse essere. Io lo so che è così e lo guardo sempre con devozione e rispetto, come si guarda un padre o una madre. Forse per questo, fa finta di nulla, gli è bastato attraversare i miei occhi la prima volta....poi sono diventato suo figlio, forse non il prediletto, ma di certo suo.

venerdì 3 febbraio 2012

Direzione nord

Camminavo lentamente sul sentiero del nulla, diretto a nord. Era un sentiero rosato, interminabile, lungo e dritto fino all'orizzonte e, forse, anche più in là. Era costeggiato sia a destra che a sinistra dalla campagna abbandonata e decadente, frutto di anni di scelleratezza e delirio collettivo, che ci avevano portato nell'abisso dell'inconsapevolezza e dell'improvviso impoverimento, come se avessimo perso la guerra con la vita e la nostra incivile civiltà fosse stata ripetutamente bombardata dagli stormi del dubbio, fino al misero crollo di tutto il castello di carte che ci aveva protetto fino a quel momento, o per lo meno, così pensavamo che fosse, perché lo pensavamo tutti. 
Il pensiero unico e acritico, si era insinuato lentamente, ma con determinazione, fino a divenire il cervello esterno della società, così come ce la eravamo immaginata, rendendo superfluo, per i più, porsi domande e osservare dall'esterno quello che accadeva. Eravamo arrivati a considerare normale il non esercitare più la facoltà di pensiero, anzi, era sembrato un miracolo potersi dedicare al vuoto quotidiano preimpostato, dove l'idea prefabbricata era considerata e accettata da tutti come di gran lunga migliore della migliore che avremmo mai potuto elaborare.
In quel contesto, l'urlo era lo strumento principe, il più utilizzato per dominare il pensiero e imporlo a chi non aveva (i più) capacità di produzione in proprio, vuoi per disabitudine, vuoi per impreparazione e ignoranza degli strumenti minimi e indispensabili alla creazione di una coscienza individuale. La supplenza dell'omogeneizzazione del pensiero, a poco a poco si era trasformata in titolarità di cattedra e, da quel momento in poi, fu facile per tutti avere certezze, sicurezza e uniformità. 
Coloro che avevano padronanza degli strumenti di analisi critica, erano stati con lentezza e abilità sui terreni della speculazione comparata, i cui contenuti erano stati a poco a poco disintegrati e sostituiti dal vuoto della banalità e del niente. La parola non mancava, mentre il lume del pensiero si era, giorno dopo giorno, spento nell'arco di un paio di decenni.
La terra promessa dell'annichilimento dell'individuo era un piatto confezionato con molta cura dall'oligarchia egemone, il cui successo principale consisteva in una schiavitù diffusa degli individui, che avevano chiamato "democrazia", con grande senso dell'ironia, sprecato, perchè nessuno era più in grado di capirla.
I confronti, le discussioni, i dibattiti avevano perso per strada i loro contenuti complessi e articolati, che erano stati sostituiti da semplicissimi assunti di banalità, contrapposti ad altrettanti vuoti mentali, e l'esposizione pacata del pensiero aveva perso attrazione, a favore del frastuono d'imposizione urlata, che tanto attraeva le folle davanti ai media.
Gli indici di ascolto e di gradimento del Potere crescevano in modo direttamente proporzianale ai decibel delle urla dei dibattiti e dell'ipocrita galateo dell'"io non la ho interrotta". Insomma, a lungo andare si era saturata la voglia di confronto e di capire qualcosa di quelle faccende così complicate che, con sollievo, avevamo delegato ad altri, per avere più tempo a nostra disposizione e poterlo così sprecare nelle attività inutili che il "Pensiero Unico" aveva finalmente messo a nostra disposizione.
Improvvisamente, era tutto diverso, nessun rumore o suono, eccezion fatta per lo scricchiolio del brecciolino sotto le mie scarpe. Ogni volta che mi fermavo per guardarmi intorno il silenzio assoluto calava su quella piccola porzione di mondo in cui ero coprotagonista solitario di una commedia di sopravvivenza sia fisica che spirituale, che potevo vincere, ma che più sensatamente sapevo di poter perdere in un attimo.
Era successo all'improvviso, in realtà non saprei dire come sia potuto capitare, ma ho lasciato la mia vita così, senza alcun preavviso. Ho lasciato casa con un'ultima occhiata, attanagliato dalla dolorosa sensazione di avere perso certezze e sicurezza. Il virus distruttore del dubbio mi ha accompagnato nel mio abituale tragitto mattutino verso il piazzale dov'era parcheggiata la mia macchina. Le chiavi sono scivolate a terra dalla mia mano semiaperta e i miei occhi hanno guardato avanti, mentre i piedi continuavano a camminare, quasi che avessero preso lo il sopravvento sulla volontà mia e del pensiero unico.
La città era quasi finita e il cammino continuava. 
Ora sono diretto a nord, cammino da due settimane, ma non ho ancora raggiunto l'orizzonte. I pensieri si riaffacciano timidamente nella mia testa atrofizzata e la sensazione è piacevole solo a tratti. Mangio quello che trovo e bevo quando se ne presenta l'occasione e mi riposo quando la stanchezza prende il sopravvento. Non so dove mi porterà questa decisione, nè dove finirà questo sentiero,  ma ovunque sia è quello che voglio ed è là che sarò quando ci arriverò, così come per il momento sono qui, consapevole di essere un punto in movimento, coprotagonista della mia vita insieme al mondo, devastato dalla mia sciocca adesione alla stupidità collettiva, per molti, troppi anni..