Camminavo lentamente sul sentiero del nulla, diretto a nord. Era un sentiero rosato, interminabile, lungo e dritto fino all'orizzonte e, forse, anche più in là. Era costeggiato sia a destra che a sinistra dalla campagna abbandonata e decadente, frutto di anni di scelleratezza e delirio collettivo, che ci avevano portato nell'abisso dell'inconsapevolezza e dell'improvviso impoverimento, come se avessimo perso la guerra con la vita e la nostra incivile civiltà fosse stata ripetutamente bombardata dagli stormi del dubbio, fino al misero crollo di tutto il castello di carte che ci aveva protetto fino a quel momento, o per lo meno, così pensavamo che fosse, perché lo pensavamo tutti.
Il pensiero unico e acritico, si era insinuato lentamente, ma con determinazione, fino a divenire il cervello esterno della società, così come ce la eravamo immaginata, rendendo superfluo, per i più, porsi domande e osservare dall'esterno quello che accadeva. Eravamo arrivati a considerare normale il non esercitare più la facoltà di pensiero, anzi, era sembrato un miracolo potersi dedicare al vuoto quotidiano preimpostato, dove l'idea prefabbricata era considerata e accettata da tutti come di gran lunga migliore della migliore che avremmo mai potuto elaborare.
In quel contesto, l'urlo era lo strumento principe, il più utilizzato per dominare il pensiero e imporlo a chi non aveva (i più) capacità di produzione in proprio, vuoi per disabitudine, vuoi per impreparazione e ignoranza degli strumenti minimi e indispensabili alla creazione di una coscienza individuale. La supplenza dell'omogeneizzazione del pensiero, a poco a poco si era trasformata in titolarità di cattedra e, da quel momento in poi, fu facile per tutti avere certezze, sicurezza e uniformità.
Coloro che avevano padronanza degli strumenti di analisi critica, erano stati con lentezza e abilità sui terreni della speculazione comparata, i cui contenuti erano stati a poco a poco disintegrati e sostituiti dal vuoto della banalità e del niente. La parola non mancava, mentre il lume del pensiero si era, giorno dopo giorno, spento nell'arco di un paio di decenni.
La terra promessa dell'annichilimento dell'individuo era un piatto confezionato con molta cura dall'oligarchia egemone, il cui successo principale consisteva in una schiavitù diffusa degli individui, che avevano chiamato "democrazia", con grande senso dell'ironia, sprecato, perchè nessuno era più in grado di capirla.
I confronti, le discussioni, i dibattiti avevano perso per strada i loro contenuti complessi e articolati, che erano stati sostituiti da semplicissimi assunti di banalità, contrapposti ad altrettanti vuoti mentali, e l'esposizione pacata del pensiero aveva perso attrazione, a favore del frastuono d'imposizione urlata, che tanto attraeva le folle davanti ai media.
Gli indici di ascolto e di gradimento del Potere crescevano in modo direttamente proporzianale ai decibel delle urla dei dibattiti e dell'ipocrita galateo dell'"io non la ho interrotta". Insomma, a lungo andare si era saturata la voglia di confronto e di capire qualcosa di quelle faccende così complicate che, con sollievo, avevamo delegato ad altri, per avere più tempo a nostra disposizione e poterlo così sprecare nelle attività inutili che il "Pensiero Unico" aveva finalmente messo a nostra disposizione.
Improvvisamente, era tutto diverso, nessun rumore o suono, eccezion fatta per lo scricchiolio del brecciolino sotto le mie scarpe. Ogni volta che mi fermavo per guardarmi intorno il silenzio assoluto calava su quella piccola porzione di mondo in cui ero coprotagonista solitario di una commedia di sopravvivenza sia fisica che spirituale, che potevo vincere, ma che più sensatamente sapevo di poter perdere in un attimo.
Era successo all'improvviso, in realtà non saprei dire come sia potuto capitare, ma ho lasciato la mia vita così, senza alcun preavviso. Ho lasciato casa con un'ultima occhiata, attanagliato dalla dolorosa sensazione di avere perso certezze e sicurezza. Il virus distruttore del dubbio mi ha accompagnato nel mio abituale tragitto mattutino verso il piazzale dov'era parcheggiata la mia macchina. Le chiavi sono scivolate a terra dalla mia mano semiaperta e i miei occhi hanno guardato avanti, mentre i piedi continuavano a camminare, quasi che avessero preso lo il sopravvento sulla volontà mia e del pensiero unico.
La città era quasi finita e il cammino continuava.
Ora sono diretto a nord, cammino da due settimane, ma non ho ancora raggiunto l'orizzonte. I pensieri si riaffacciano timidamente nella mia testa atrofizzata e la sensazione è piacevole solo a tratti. Mangio quello che trovo e bevo quando se ne presenta l'occasione e mi riposo quando la stanchezza prende il sopravvento. Non so dove mi porterà questa decisione, nè dove finirà questo sentiero, ma ovunque sia è quello che voglio ed è là che sarò quando ci arriverò, così come per il momento sono qui, consapevole di essere un punto in movimento, coprotagonista della mia vita insieme al mondo, devastato dalla mia sciocca adesione alla stupidità collettiva, per molti, troppi anni..