lunedì 23 marzo 2015

Poveri Lupi

La gogna a cui i cialtroni prestati alle idee altrui hanno sotto posto il "povero" Maurizio Lupi reo di non aver fatto nulla, se non di avere chiesto una sistemazione per il figlio, pone seriamente il problema della buona informazione e della moda dei tribunali del popolo, in cui l'ultimo dei cialtroni, al soldo di chi, dichiaratamente, vuole che rabbia e "eventuale" violenza siano ricondotti ai canali istituzionali del nulla.
I tribunali del popolo hanno inveito contro il povero ciellino perchè cercava un lavoro al figlio....tutti puri, nessuno di loro avrebbe fatto lo stesso a parti invertite, tutti avrebbero avviato la fastidiosa trafila dei curriculum e delle porte a cui bussare.
Tutti questi mentecatti dell'onestà che vogliono vedere praticata, ma che in massima parte non praticano. E così scendono in campo le menti più illuminate, per spiegare alla feccia cosa deve pensare.
E così che si getta il Paese nel vuoto, un Paese opportunista, corporativo, in cui il merito è sostituito da sempre dagli "amici degli amici", siamo il popolo del "latore della presente", quello che ha sostenuto a ogni pie' sospinto il voto di scambio e che ha succhiato nell'illecito finchè ha potuto.
Oggi i cialtroni scoprono la corruzione, il malaffare.... eppure questi comportamenti nascono dalle piccole cose, dalla mancia non dovuta all'infermiere per un occhio di riguardo al nostro caro, al regalo all'impiegato che deve apporre il timbro su quella determinata pratica.....siamo noi o no? Quelli che si fanno levare le multe dall'amico e che approfittano sempre dell'amico per avere prima l'accertamento clinico o la visita specialistica? Siamo sempre noi?
La maggior parte delle attività quotidiane è gestita dalla rete di conoscenze, senza, ci sarebbe solo da pagare.....e a nessuno piace pagare, lo si vede bene dall'atteggiamento che abbiamo nei confronti del fisco.
Tutti urlano....ma se fossero più basse, se fossero al due per cento, ci sarebbe comunque la corsa all'evasione, è un fatto culturale, da noi chi frega lo Stato è un furbo, in altri Paesi un delinquente da perseguire.
Nonostante ciò, pretendiamo una classe dirigente che sia diversa da noi, che ci moralizzi e che ci redargiosca quando sbagliamo, ma senza sanzioni, per carità.
Povero Lupi, reo di niente se non del fatto di essersi comportato da italiano medio.

lunedì 16 marzo 2015

Puttana

Puttana (grazie a Giovanni Andreoli)

Il termine «puttana», che nell'italiano popolare acquisisce un grave tono offensivo, deriva da puteus, con cui in latino s'intendevano originariamente o una cavità naturale o un buco scavato appositamente[1] (nei puticuli, i pozzi, intesi come grembi ipogei di rinascita, i Romani del popolo seppellivano i morti). Nell'Avesta,[2] il testo sacro del mazdeismo, mediante la parola putika ci si riferisce invece ad un lago mistico di acqua rigenerante. In entrambi i casi, come è facile notare, siamo legati concettualmente a qualcosa che sfiora l'idea di un sentimento religioso. Non a caso la radice sanscrita presente nei Veda, puta, entrata anche nelle lingue romanze con tutt'altro senso (cfr. spagnolo puta, francese pute) allude a ciò che è «puro» o «santo», e significativamente in ebraico la parola Kaddosh vuol dire sacro mentre Kaddeshà prostituta.[3] Detto brevemente, in contesti storici o culturali diversi, il sostantivo «puttana» implica inizialmente, sul piano strettamente etimologico, il concetto della sacralità. Tuttavia, porre in relazione la sessualità all'idea di sacro, crea oggi uno scomodo paradosso per molte persone.[4]
           Eppure, anticamente, il sesso era considerato una vera e propria liturgia, a dire un mistico atto sacramentale (ierogamia) che permetteva ad entrambi i partner di trascendere i propri sensi comuni per entrare in una nuova dimensione spirituale. Essenzialmente si trattava di un rito di passaggio e di trasformazione interiore: di qui la ierodula, la serva-amante, veniva chiamata pertanto «Grande Prostituta» (assumendo l'epiteto della dea al cui servizio era addetta), ed eseguiva ogni volta un particolare atto sessuale di coitus reservatus, un intenso e prolungato orgasmo di tutto il corpo senza emissione di fluido seminale, il quale avrebbe condotto l'uomo all'horasis,[5] l'illuminazione spirituale o Sophia, che equivaleva in sostanza ad una forma suprema del rinnovamento interiore raggiunta attraverso la sublime esperienza erotica del Femminile (in India questa speciale tecnica sessuale è conosciuta dalla dottrina tantrica come maithuna, un raffinato procedimento di sensi che permette all'uomo di assimilare appunto dentro di sé l'innata sapienza magica della donna).[6] «L'atto sessuale tra un uomo e la sacerdotessa era il mezzo per ricevere la gnosi, per fare esperienza del divino [...] Il corpo della sacerdotessa diventava, in modo impensabile per il mondo occidentale contemporaneo, letteralmente e metaforicamente una via per entrare in rapporto con gli dei [...] Per i pagani, infatti, le donne erano naturalmente in contatto con il divino, mentre l'uomo, da solo, non poteva raggiungere questo obiettivo».[7] E commentando nella sua raffinata prosa d'antan uno studio sulla sessualità sacra assira, Julius Evola (Metafisica del sesso, cit., p. 213) precisa:
Erano queste giovani [sacerdotesse, ndr] che avevano, anche, il nome di «vergini» (parthénoi ierai), di «pure», di «sante» - qadishtumugigzêrmasîtu; si pensava che incarnassero, in un certo modo, la dea, che fossero le «portatrici» della dea, da cui traevano, nella loro specifica funzione erotica, il nome - ishtaritu. L'atto sessuale assolveva così per un lato la funzione generale propria ai sacrifici evocatori o ravvivatori di presenze divine, dall'altro aveva una funzione strutturalmente identica a quella della partecipazione eucaristica: era lo strumento per la partecipazione dell'uomo al sacrum, in questo caso portato e amministrato dalla donna.
          Si noti che alle ierodule era solito attribuirsi gli epiteti di «Vergine Santa» o «Grande Prostituta», titoli che in ogni caso nel paganesimo matriarcale si riferivano comunemente ad una sacra sacerdotessa depositaria dell'oscuro segreto femminile relativo alla gnosi magica del divino, essendo costei l'incarnazione terrena della Dea sotto la cui benedizione amministrava nei templi il culto religioso: di fatto, lo stesso termine harlot che nell'inglese letterario odierno designa una prostituta, trae origine, attraverso il francese medievale, proprio dalla parola greca "ierodula" (lett. serva sacra). Ora, tra le incombenze liturgiche delle Sante Vergini o ierodule, le serve sacre del tempio, c'erano i doveri di somministrare la grazia celeste della Dea, di far guarire dalle malattie attraverso lo sputo medicinale e le secrezioni della vagina,[8]di profetizzare,[9] di eseguire le sacre danze in onore della divinità[10] nonché di intonare le lamentazioni funebri e di diventare «Spose» del dio-sacerdote nei riti prestabiliti del matrimonio sacro. L'appellativo Vergine Santa non stava però ad indicare verginità fisica in senso stretto, ma piuttosto acquisiva il significato di «ragazza nubile»: pertanto le ierodule erano sia vergini in quanto non vincolate da alcun legame matrimoniale, e sia sante perché manifestavano pubblicamente la funzione sacerdotale, essendo la rappresentazione terrena delle varie dee nei cui confronti amministravano il culto religioso, basato sulla sessualità sacra. Sicché, qualora fosse stato generato un figlio, per logica a costui si conferiva un epiteto che allora non poteva dar luogo ad equivoci, ove nel caso particolare dei Semiti suonava come bathur e per i Greci parthenoi, cioè il «nato da vergine».[11] Sia chiaro che lo stesso termine che in lingua latina esprimeva una ragazza illibata non era virgobensì virgo intacta: il primo vocabolo veniva riferito comunemente ad una giovane nubile, ovvero non ancora sposata, mentre l'altra voce connotava decisamente la mancanza di esperienza sessuale.[12]

[1] Il termine puteus si accosta all'idea di vagina, grembo, utero, ovvero ai concetti di ricezione e di contenimento. Non a caso la parola italiana "cunicolo", buco o passaggio stretto, deriva dal latino cunnus, vagina. In ogni caso la radice cunproviene dalla Grande Dea orientale Cunti o Kunda, la yoni dell'Universo, divinità "cunni-potente", che detiene cioè la magica vagina della nascita. Cfr. Barbara G. Walker, The Woman's Encyclopedia of Myths and Secrets, cit., pp. 197-198.
[2] Originalmente in 21 parti, esso ci è pervenuto in redazione incompleta e tarda (III-VII d.C.), scritto in iranico antico (avestico) e in lingua pahlavi. Ancora oggi rappresenta la "Bibbia" dei Parsi.
[3] Cfr. Laura Rangoni, La Grande Madre, cit., p. 49. Anche il termine ebraico hor(affine all'etimo delle Horae greche, le sacerdotesse di Afrodite) valeva come sinonimo sia di buco (o pozzo) sia di sacra prostituta e della dea che serviva, la cui yoni, cioè la vagina, era rappresentata metaforicamente da un pozzo o da una vasca d'acqua situata al centro del tempio.
[4] Cfr. A.T. Mann e Jane Lyle, Sacred Sexuality, cit., p. 6.
[5] Cfr. Peter Redgrove, The Black Goddess and the Sixth Sense, London, Bloomsbury, 1987; anche Barbara G. Walker, op. cit., p. 821. Il termine horasis, l'illuminazione spirituale, appare anche nel Nuovo Testamento (Atti degli Apostoli 2,17) ma è erroneamente tradotto con "visioni".
[6] Il Tantra è un'antichissima dottrina incentrata sulla yoni, la venerazione sessuale del principio femminile, che si dice sia stata elaborata migliaia di anni fa in India da una setta segreta chiamata Vratyas, composta di sole donne (a ben vedere una sorta di ierodule in grado di partecipare in congiunzione col loro principio opposto, illinga, dell'armonia universale). 
[7] Lynn Picknett e Clive Prince, La Rivelazione dei Templari, cit., p. 198. Cfr. anche Nancy Qualls-Corbett, The Sacred Prostitute, cit., p. 105 (la prostituta sacra come mediatrice tra il divino e l'umano).
[8] Un vecchio proverbio sufi recita: "La cura è nella vagina della donna". L'idea invece che lo sputo sia salutare per guarire dalle malattie affiora persino nel Nuovo Testamento, come per esempio nel passo di Marco 8,23 dove Gesù pone la saliva sugli occhi del cieco di Betsàida per ridargli la vista. Tale intervento curativo appartiene alla tradizione medicinale matriarcale:Barbara G. Walker, op. cit., p. 820 e più oltre a p. 885, ricorda che in una tavoletta d'argilla proveniente dall'antica Ninive si sostiene che le malattie oftalmiche possono essere curate con latte misto allo sputo di una prostituta sacra.
[9] Il termine ebraico zonah sta ad indicare sia una prostituta sia una profetessa. "Sperare nella Provvidenza", cioè nell'assistenza benevola di Dio, significa in realtà affidarsi alla magia divinatoria e profetica del femminile. In latino provideo vuol dire "prevedere", per cui la Provvidenza è personificazione delle capacità mantiche del Femminile, come appunto le antiche matriarche che erano in grado di disporre dei beni agricoli necessari alla comunità prevedendo i movimenti degli astri ed i repentini cambi climatici di stagione. "Gli antichi Germani ritenevano che le donne avessero in sé qualcosa di sacro, e a loro si rivolgevano per i vaticini. E queste donne consacrate, si dice, osservavano i fiumi turbinosi, ascoltando il mormorio o il mugghiare delle acque e, da ciò che vedevano e sentivano, traevano gli auspici. [...] Sotto il regno di Vespasiano, per esempio, una certa Veleda, della tribù dei Brutteri, era da tutti considerata una dea e, come tale, regnava sul suo popolo, e il suo dominio era ovunque riconosciuto", James Frazer, Il ramo d'oro, cit., pp. 125-126.
[10] "I portoghesi tradussero il termine devadâsi, che si incontra già in Buddhagosa, autore buddista del V secolo d.C., con bajadère (ballerine), le danzatrici sacre dei templi indiani; il concetto si ritrova anche nel Vecchio Testamento [Deuteronomio23,18]", Ambrogio Donini, Breve storia delle religioni, cit., p. 196.
[11] Cfr.M. Esther Harding, Woman's Mysteries, cit., p. 102.
[12] Cfr. Nancy Qualls-Corbett, op. cit., p. 58.

A ciascuno il suo.

"È inutile che mi guardiate male, le vostre donne sono insopportabili, bisbetiche, egocentriche, egoiste, superficiali, stronze e persino zoccole e non perdono occasione per dimostrarlo! Questo sono le vostre donne"
"Le nostre? e la tua, allora?"
"Carlo è una persona meravigliosa."

mercoledì 11 marzo 2015

Amore? Ma mi faccia il piacere!

Le ferite si rimarginano sempre, non sappiamo quanto tempo ci mettono, ma si rimarginano.... soprattutto quelle che fingiamo siano state provocate dai sentimenti passionali, quelle che ci fanno sentire autorizzati a comportarci da vittime, dissimulando con abilità meschina i panni del carnefice.
Ma tutto scorre e passa, come ci hanno insegnato i grandi padri del pensiero umano. Tutto passa, ma non è vero che non lascia traccia.
La terra mischiata all'acqua genera un tipo di composto che ti avvolge e penetra tutti i punti, anche quelli più remoti e lascia sempre una traccia di disagio, anche tempo dopo essere stato lavato via.
Perchè quello che non si attenua è il gusto di amaro che resta di fronte alle delusioni, agli inganni, ai racconti romanzati di protagonisti di quart'ordine dei più improbabili racconti che la storia della vita ci propone.
Poveri esseri, vittime della propria incapacità di dare corrette definizioni e collocamento nel bene o nel male delle passioni che agitano l'animo umano, condizione che li pone a gestire male, anzi malissimo quel poco di bene che è dato loro di esprimere.
Eppure la domanda è semplicissima, la passione è un bene o un male, e se è un bene, come può giustificare il male che viene fatto in suo nome?
Già, l'essere umano inneggia all'amore, come più alta espressione del genere, come chiave di volta della perpetuazione della specie, come supporto reciproco per superare i momenti di difficoltà.
Ma l'inganno e la menzogna sono dietro l'angolo, perchè in troppi equivocano il sentimento candido e altruista dell'amore con la passione, la carnalità e il possesso, il dominio, la prevaricazione dell'uno sull'altro. 
Tutti atteggiamenti passionali mirati alla sopraffazione dell'altro. Ma allora la domanda vera è: sono atteggiamenti positivi, benevoli o in nome dell'amore si può giustificare qualsiavoglia malefatta e scempio?
Rammentiamo che il delitto d'onore è stato depennato dal nostro codice penale negli anni 80. Un delitto non può essere annoverato fra gli atti positivi, ma al di là di questo, era dettato dall'orgoglio ferito o dalla cecità in cui le passioni inducono gli esseri umani?
E quanto può essere giustificabile il male che viene fatto in nome dell'amore? 
Può una persona sminuire in modo significativo il male fatto, adducendo la propria condizione di "innamorato" come assoluzione preventiva di qualsiasi efferatezza commessa?
Interviene in nostro aiuto la religione del perdono, che fa dire al proprio massimo esponente di perdonare 70 volte 7, ponendo una precisa misura oltre la quale la molestia diventa intollerabile.
Quindi abbiamo l'onere evangelico di perdonare 490 volte e dopo?
E dopo dovremo cominciare a educare coloro che non hanno capito nulla dei sentimenti, se non i bassi istinti a cui li induce la propria pancia, il sentimento cieco, egoista ed egocentrico, che pone sè stessi al centro dell'universo conosciuto, quasi a stabilire in tal modo la regola di priorità.
La verità, per quanto poco digeribile, è che le passioni sono male, anzi, sono Il Male, a meno che ciascuno non se le viva in assoluta e desolata solitudine.
D'altronde una buona educazione sentimentale non vi è mai stata e abbiamo imparato e insegnamo che amore è una cosa meravigliosa, lo scambio di due anime che si annullano per confluire insieme in una nuova unica entità.
Quindi abbiamo imparato e insegnato che amore è possesso, è acquisizione territoriale, è sottomissione dell'altro, è imposizione con ogni mezzo dei nostri desiderata, in ultima analisi è l'esaltazione della supremazia che riusciamo a imporre sull'oggetto delle nostre presunte e vantate attenzioni.
Che succede se l'incantesimo si rompe e l'amato bene si defila? Apriti cielo, si va in un territorio in cui è tutto consentito, in barba ai nobili sentimenti a cui ostinatamente affermiamo di fare riferimento.
E il tutto, con una particolare predisposizione all'umorismo paradossale, lo millantiamo per amore.
Quindi la nuova domanda è il sentimento è passione o pensiero?
Se il sentimento è passione, come abbiamo visto, colpisce alla cieca e ci fa commettere atti infami, indegni delle relazioni fra umani. E allora?
E allora anche i sentimenti che regolano le relazioni interpersonali sono soggetti allo stretto controllo del pensiero che non può e non deve mai abbandonare l'essere umano, pena il decadimento in un limo che tutto sporca e tutto uniforma.
.
.