Il filtro era molto artigianale, della garza adagiata su più strati all'interno dell'imputo e l'imbuto inserito nellimboccatura della bottiglia. Questa era la premessa manufatturiera alla prima realizzazione dell'infuso sardo per antonomasia: il mirto.
Maria Grazia e il suo ragazzo erano venuti dalla Sardegna con oltre quattro chili quattro di bacche. Un orgasmo intellettuale. Il resto era stato facile, la valutazione della più convincente ricetta e relativa attuazione.
In realtà, solo la teoria è facile, la pratica è più complessa assai, per cui ero addivenuto alla decisione di fare due versioni diverse dello stesso liquore, una da "signorine", un po' più morbida e una da "veri uomini" ben piantata sull'importanza del tasso alcolico.
I tempi dell'infuzione erano stati opportunamente lunghissimi,tanto da consentire una larga documentazione sulle cose da fare e la relativa attuazione.
Una delle principali esigenze, generate dalla lettura dei dati, era l'acquisizione di un torchietto, attrezzo di cui avevo ignorato l'esistenza fino ad allora.
In realtà un manufatto ingegnoso, quanto semplice. Un contenitore con un ugello al proprio fondo, che contiene un secondo elemento cilindrico e bucherellato, a far uscire i liquidi. Un piatto collegato a una vite senza fine che entra in questo secondo elemento. Il tutto in un supporto che consente, tramite piatto e vite, di spremere (torchiare) le bacche dopo l'infusione.
Tutto si era evangelicamente compiuto, restava la filtratura e l'imbottigliamento.
Il mirto gocciola dall'imbuto dentro alla bottiglia, sollevando le piccole corone brune col proprio peso.
Il profumo è intenso e il colore come di sangue di salasso. Mai avrei pensato che quelle piccole e insignificanti bacche macchiassero peggio dei carciofi e delle noci......
Ora il prodotto del mio artigianato da neofita era amorevolmente contenuto in ampolle di vetro, pronte a essere offerte ai palati curiosi.
Questo era il percorso nuovo, si aprivano nuove strade, laddove la vecchia vita non aveva saputo offrirne.
I tempi dell'infuzione erano stati opportunamente lunghissimi,tanto da consentire una larga documentazione sulle cose da fare e la relativa attuazione.
Una delle principali esigenze, generate dalla lettura dei dati, era l'acquisizione di un torchietto, attrezzo di cui avevo ignorato l'esistenza fino ad allora.
In realtà un manufatto ingegnoso, quanto semplice. Un contenitore con un ugello al proprio fondo, che contiene un secondo elemento cilindrico e bucherellato, a far uscire i liquidi. Un piatto collegato a una vite senza fine che entra in questo secondo elemento. Il tutto in un supporto che consente, tramite piatto e vite, di spremere (torchiare) le bacche dopo l'infusione.
Tutto si era evangelicamente compiuto, restava la filtratura e l'imbottigliamento.
Il mirto gocciola dall'imbuto dentro alla bottiglia, sollevando le piccole corone brune col proprio peso.
Il profumo è intenso e il colore come di sangue di salasso. Mai avrei pensato che quelle piccole e insignificanti bacche macchiassero peggio dei carciofi e delle noci......
Ora il prodotto del mio artigianato da neofita era amorevolmente contenuto in ampolle di vetro, pronte a essere offerte ai palati curiosi.
Questo era il percorso nuovo, si aprivano nuove strade, laddove la vecchia vita non aveva saputo offrirne.
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