lunedì 14 giugno 2010

Solitudine solitaria e solatia.

Stare in compagnia è il rimedio più istintivo per chi voglia combattere, o almeno superare la solitudine. Occorre riconoscere con assoluta franchezza che il rimedio funziona.
La vicinanza di altri esseri umani determina il decadere immediato dello "status" di solitario, per incompatibilità dei termini, ma crediamo di poter affermare con un buon margine di sicurezza, che altro è porre rimedio alla solitudine.
Sentirsi soli fra la gente è un paradosso utilizzato con una certa frequenza dagli autori di testi a divulgazione nazional-popolare, per uso e consumo dei ceti più bassi, almeno intellettualmente. Questo enunciato ci potrebbe portare a dedurre che la solitudine non sia una situazione fisicamente identificabile, ma uno stato della mente, che si arroga il diritto di generare sentimenti a proprio piacimento, a prescindere dalla situazione oggettiva, o almeno all'analisi dei parametri riscontrabili.
Questa semplice, quasi banale, osservazione, ci pone di fronte all'inevitabile negazione della  solitudine.
Come possiamo definire un processo non qualificabile né quantificabile con misurazioni certe e riconoscibili? Uno stato bizzarro, affidato all'improvvisazione "filosofica" individuale.
Sentirsi soli non è essere soli, anche se è assai diffuso il convincimento contrario.
Si sa, piangersi addosso è una delle attività più frequentate dal genere umano.

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