Ci sono periodi in cui la vita sembra non offrire orizzonti di cui gioire, salvo l'apparire improvviso di un miracolo, una mano tesa del tutto inaspettata, sotto forma eterea, impalpabile, una di quelle forme che puoi solo illuderti di poter fare tua, ma che (in realtà) si aggira senza posa per il mondo, al solo scopo di dare aiuto a chi ne ha bisogno.
Il miracolo ha le sembianze di un nero ottantenne e di un bianco poco meno che settantenne, chitarrista il secondo e polistrumentista il primo; i signori Charles Lloyd e Bill Frisell.
Era stata una giornata calda, una di quelle che possono verificarsi nel mese di luglio, una giornata difficile, non si fanno mai incontri, semmai sempre e solo scontri. Una giornata di quelle che vorresti avessero un'altra impronta e, invece, hanno quell'impronta lì e non ci puoi fare nulla, se non accettare che le cose vadano come vogliono, rassegnandosi al fatto che tu puoi fare ben poco.
La fortuna ha voluto che siamo partiti verso le 19.00 con un conoscente, forse amico, sicuramente condivisore di passioni più o meno accentuate, in particolare quella per la musica, sia suonata che ascoltata.
Meta della gita il Jazz Festival di Empoli, nella bellissima ambientazione della piazza Farinata degli Uberti, di fronte a una bellissima collegiata, di cui ignoravo l'esistenza, e una restaurata fontana dei leoni.
Sul sagrato erano già schierati strumenti e cavi in ordine più ordinato i primi, più casuale i secondi. Una batteria di marca sconosciuta, due amplificatori, un microfono Neumann al centro della scena e peluche assortite sotto un Fender valvolare.
L'attesa si preannunciava lunga, ma chissà, forse ne sarebbe valsa la pena.
Ci spostiamo presso un banco di alimenti, a lato della piazza, dove ci somministrano una dietetica porchetta adagiata dentro un inconsistente panino, una birra leggera e la cena è risolta (viva la dieta).
Non possiamo fare altro che vagare per la piazza alla ricerca di un caffé e una ritirata, ove poter svuotare i contenitori di liquidi organici. È un piano di semplice realizzazione e viene realizzato.
A questo punto non rimane che accomodarsi ai nostri posti: fila H, poltroncine 23, 24 e 25, in posizione sufficientemente centrale e ragionevolmente ravvicinata.
Sono le 21.40, quando una minigonna sale sul sagrato con un microfono, lanciando ringraziamenti tutt'intorno e dilungandosi nella competenza e bravura degli organizzatori, che hanno contagiato persino la capitale, Firenze, che ospiterà alcuni eventi da essi stessi proposti e organizzati. Il pippone non è eterno, per fortuna, e arriva il momento in cui viene annunziato il quartetto capitanato dal vegliardo Charles Lloyd, con Bill Frisell. Reuben Rogers e Eric Harland.
I due anziani e i loro badanti prendono posto rapidamente e si capisce subito che ci sarà del filo da torcere per le nostre menti prevenute, la musica incomincia a fluire liscia, su una base solida, vagamente funky, portata aventi dai due giovanotti che cominciano a costruire un castello inespugnabile intorno ai due veterani, che cominciano a tessere le loro arie, con piglio che non ci si aspetterebbe.
Il concerto scorre tranquillo e cambia il senso della giornata. Quasi quasi non dormo, così mi perpetuo il benessere che provo (meritatamente) dopo giorni forse troppo complicati.