di Antonello Caporale
“Questo sarebbe il
tempo giusto per un nuovo Marx, ma il pensiero non si coltiva in
serra e la storia non coincide con la nostra biografia. Avremmo
bisogno di uomini che stiano un gradino più in alto del resto della
società e invece ci ritroviamo a essere governati con gente che è
risucchiata nel gorgo della stupidità. Come si può pensare alla
rivoluzione – qualunque tipo o modello di riforma strutturale
dell’esistente – se il nostro sguardo sul mondo è destinato per
tutto il giorno unicamente alle variazioni sul display del nostro
telefonino?”.
Era
il 1867 quando fu pubblicato il Libro I del Capitale di Karl Marx.
Centocinquanta anni fa il filosofo di Treviri mandò alle stampe il
volume che avrebbe promosso, sostenuto e accompagnato passioni e
reazioni, condotto in piazza milioni di persone, trasformando il
senso del giusto e dell’ingiusto. E Aldo Masullo, classe 1923,
massimo studioso delle differenze tra idealismo e materialismo, ha
attraversato il secolo scorso leggendo e rileggendo Marx per i suoi
studenti.
“Un’opera immensa.
Ha annunciato il nuovo mondo. Ha spiegato e anticipato i caratteri
del mondo borghese, del principio del tutti almeno formalmente
uguali, della statuizione che ciascuno, indifferentemente dalla
condizione sociale, è pari all’altro. Si usciva dal feudalesimo,
dalla vita legata dallo status: feudatario, vassallo, plebeo. Grazie
a lui si apre il mondo moderno, si afferma il principio della
uguaglianza astratta. Sia che tu sia dritto o gobbo, intelligente o
stupido, avrai da pagare le stesse mie tasse”.
Marx sembra Dio.
“L’enormità del suo
pensiero non è sempre valutabile positivamente. Perché tutto ciò
che è enorme straripa di fronte alle necessità dell’uomo. La
storia che noi viviamo è sempre più grande della nostra
condizione”.
Era troppo avanti?
“Sì, potremmo dire
con un linguaggio attuale che ha esondato un po’”.
Non c’è dubbio però
che grazie a lui il lavoro non è divenuto solo merce da vendere ma
anche un valore da difendere.
“Quanto è stata
grande e rivoluzionaria questa consapevolezza? Quanto ha fatto Marx
perché fosse contrastato il principio secondo il quale lavoratore
vende forza lavoro e il capitalista lo compra. Il teorema per cui
tutto si può comprare e tutto si può vendere. E infatti oggi si
vende anche la dignità. Tutto ha un prezzo: nelle democrazie
fragili sudamericane o in quelle africane non c’è giudice che non
si possa comprare, non c’è sentenza che non si possa addolcire”.
Lei parla dell’oggi,
come se i progressi del secolo scorso non fossero serviti a niente.
Tutto regredisce, si torna indietro.
“No. Ricordi che la
storia è dinamica, è movimento e non coincide con il tempo che
viviamo. La grandezza di Marx è stata quella di aver aiutato
l’umanità almeno a ricercare forme nuove di vita, a conquistare
spazi in cui la dignità e la libertà acquisissero un senso diverso
e nuovo”.
Il comunismo relegò in
gattabuia le libertà e costrinse milioni di persone a una vita di
stenti.
“Parlo dei diritti
conquistati durante le grandi lotte sociali nell’Occidente libero
e democratico. Grazie a quella spinta teorica siamo giunti allo
sciopero, che è un diritto diverso dalla rivoluzione o dalla
sovversione. Si stabilisce attraverso delle regole la possibilità
del massimo conflitto col massimo rispetto della legge. È una cosa
enorme”.
Perché oggi sembra
tutto così lontano, così perduto? Non ha più senso parlare di
lotta di classe, fa sorridere solo immaginarla possibile. E i
diritti regrediscono, il lavoro torna a essere merce, quindi ad
avere un prezzo senza nessun valore.
“Quando si hanno
trasformazioni degli assetti sociali così cruente, quando la classe
dirigente si connette fino a divenire satellite del potere
finanziario, il capitale, o meglio i capitalisti, non trovano più
conveniente investire nella capacità produttiva, ma investono nel
circuito finanziario globale. La moneta produce moneta e tutto si
concentra nello sviluppo di tecnologie che riducano la necessità
dell’apporto della forza lavoro. Piano piano il lavoro manuale
viene dismesso, poi anche quello intellettuale non creativo”.
L’operaio come una
escrescenza sociale.
“Bauman parla di
scarto. Divengono elementi di scarto. Certo, non succederà che
finiremo di morire di fame ma si ridurrà il prezzo e il valore del
lavoro. Si entra nel campo della misericordia, della pietas”.
Il declino
inarrestabile.
“Lei si fa
condizionare dall’angoscia dell’attualità che non trova
risposte. Ma i tempi della storia non corrispondono a quelli della
cronaca. E se, come abbiamo detto e ripetuto, la storia è
movimento, le crisi recessive sono parti di quel movimento”.
Quindi cosa resta del
grande Marx, solo cenere?
“Il suo pensiero ha
costruito il mondo nuovo, il mondo moderno che abbiamo conosciuto.
La regressione civile ed
economica che stiamo vivendo non può in ogni caso sospendere i
caratteri fondativi della natura umana, l’elementarietà dell’uomo
con i suoi bisogni indefettibili e irrinunciabili. È certo che
l’uomo continuerà a mangiare, a sperare, a fare l’amore”.
Non ci sono più i
pensatori di una volta.
“È la constatazione
di una povertà generale e trasversale. Non è solo la classe
dirigente del nostro Paese, è l’autorità che ha perso ogni
distintivo di capacità di guardare oltre. Alzi lo sguardo e cosa
vedi? Cordate di leader collegati a cordate di multinazionali, in
una cointeressenza tra funzione di governo e speculazione
finanziaria che erode spazi di libertà, di avanzamento
professionale e culturale. C’è poi una parte del mondo soggiogata
dal circuito malefico dell’industria delle armi che la priva – è
il caso dell’Africa e dell’Oriente – di ogni dignità e la
costringe a una migrazione senza diritti”.
Ma abbiamo detto che
l’uomo spera.
“Questo è il tempo
della stupidità al potere. La storia ci dirà quanto avrà
resistito”.
Articolo
pubblicato su Il Fatto Quotidiano, 15 settembre 2017
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