Ci sono cose che muovono le corde più profonde del cuore.
Per quanto mi riguarda, pensavo che questo privilegio, o presunto tale, fosse appannaggio esclusivo di Mr. Hammill, sia da solo che col solido e immarcescibile gruppo.
Si può, quindi, immaginare la meraviglia nello scoprire come i quarant'anni e passa di musica, prodotta Mr. Fripp e allegra brigata Cremisi, abbiano minato profondamente la mia sicurezza.
Vero che il signor Fripp non è così prolifico come lo è stato il genio del Generatore, ma dalla sua può vantare un atteggiamento che ha sempre privilegiato l'espressionismo artistico, avvicinandosi più a un principio jazzistico, che non ai dogmi del rock e la sua coerenza parla attraverso una discografia ricchissima di "live album" contenenti brani più che conosciuti, di volta in volta trasformati in qualcosa di diverso, se non negli enunciati, nell'animo di chi lo suona e di chi lo ascolta.
Allo stesso tempo, la filosofia del Re si è andata orientando verso un'impostazione da esecutori di musica classica, per cui i brani, pur subendo i necessari e inevitabili aggiornamenti delle riesecuzioni, mantengono fedele le linee più note che li hanno indissolubilmente legati agli ascoltatori più fedeli.
Gran bel lavoro, con un organico bizzarro, quanto bizzarro ha saputo e sa essere Mr. Fripp, da quando lo abbiamo incontrato, più o meno casualmente, per la prima volta.
Tutti i musicisti del progetto sono degni di nota e nessuno in particolare prevale, dando forma e sostanza al pensiero Crimsoniano che il gruppo sia l'entità che conta, i singoli sono solo modesti (ma non troppo) comprimari.
E così apprezziamo un rinato Mel Collins, con tutte le sua ance e i suoi flauti; l'inaspettato Jakko Jakszyk, britannico a dispetto del patronimico, che copre bene le parti di seconda chitarra e quelle vocali (compito, quest0ultimo, tutt'altro che semplice dato che i predecessori si chiamavano Lake, Wetton e Belew); Un gigantesco Tony Levin a stelle e strisce con basso contrabbasso e Chapman stick, che ha sostenuto tutte le sue parti con puntuale precisione e creatività.
Le pelli sono state battute da tre ottimi soggetti; Gavin Harrison, che ha avuto il ruolo di accompagnato principale in gran parte del programma; Pat Mastellotto che ha curato le parti più specificatamente percussive e gli scambi più "brufordiani" con una tecnica che tanto da vicino ricorda Steve Gadd; in ultimo, ma non da meno, Jeremy Stacey che ha brillato nelle parti di piano e tastiera (montata di fianco alla sua batteria), senza tralasciare importanti interventi percussivi, quando l'altro ruolo glielo abbia permesso.
Alla fine, il gigante, il demiurgo, il pensiero stesso del gruppo e della musica, mr. Robert Fripp, su cui troppe parole sono state spese, senza che una sola di esse riuscisse a descriverne in modo compiuto la capacità compositiva e organizzativa, esecutiva e interpretativa.
Una formazione da sogno per un concerto che ha mosso l'anima.